Strada e Muccioli grande

Gino Strada non è stato né il primo, né l’ultimo dei profeti della carità, a cui l’indiscutibile devozione all’impegno umanitario ha guadagnato una sorta di insindacabilità politica, come se la grandezza delle opere facesse prova di quella delle idee e la critica delle seconde oltraggiasse irreparabilmente le prime.

Inoltre Strada stesso ha rivendicato una relazione diretta tra quel che pensava e quel che faceva, tra l’amore della pace e il senso del dovere che lo portava a soccorrere le vittime della guerra ai quattro angoli del pianeta. Essendo però la sua idea della guerra forgiata nelle fucine dell’ideologia anti-imperialista, per cui la guerra è sempre – grosso modo – la continuazione dell’aggressione capitalistica con altri mezzi, anche la sua idea della pace era altrettanto unilaterale e concentrata nell’opposizione alle “guerre occidentali” come manifestazioni della perdurante inclinazione alla dominazione coloniale, dietro un surrettizio alibi umanitario. Anche dopo l’11 settembre e la rivendicazione della strage da parte di Osama Bin Laden, l’intervento in Afghanistan venne da Strada rubricato come una guerra di aggressione.

Vista l’influenza che la sua figura ha esercitato sulla parte politica che sapeva di rappresentare, il pacifismo anni ’50 di Strada ha continuato a contendere il cuore del popolo di sinistra a dottrine, che pensavano di innovarne la cultura attraverso il superamento contestuale del pregiudizio anti-americano e dell’interpretazione dogmaticamente pacifista dell’articolo 11 della Costituzione.
Occorre ricordare, in proposito, che Strada debuttò rumorosamente in politica proprio contro un intervento militare – quello in Kosovo, nel 1999 – sostenuto da un governo italiano di centro-sinistra, che peraltro risparmiò ai musulmani kosovari il destino a cui andarono incontro qualche anno prima quelli bosniaci a Srebrenica. Il pacifismo di Strada ha resistito assai più tenacemente dell’atlantismo obbligato nella cultura della sinistra, rappresentandone l’alternativa pulita e autonoma, tanto quanto sporca e servile – anche se a volte inevitabile – continuava in fondo ad apparire a molti elettori e dirigenti della sinistra la compromissione politico-ideologica con il vecchio nemico americano.

Se l’attività di Emergency ha profondamente modernizzato la medicina di guerra, con il proposito non solo di portare generoso soccorso, ma di assicurare prestazioni sanitarie di qualità ai diseredati della terra, l’attività politica di Strada ha riportato la cultura della pace della sinistra agli schemi della Guerra Fredda e a una lettura dei processi internazionali come puro dispiegamento del potere di industrie belliche, multinazionali petrolifere e centrali finanziarie, cioè di quelle che Strada riteneva le infrastrutture politiche e economiche del capitalismo americano, esecrandole alla pari degli “Junker feudali”, e dei “magnati dei grandi trust industriali tedeschi” e della “casta militare del Kaiser”, che avevano favorito l’ascesa di Hitler, come disse esplicitamente in una intervista a Vauro sul Manifesto, nel 2002. E nel suo assolutismo pacifista, a questo proposito, non ebbe problemi ad affermare, dopo l’11 settembre, l’esistenza di “analogie evidenti” tra Bush e Hitler.

Si dovrebbe dire che Strada è stato comunque un grande campione della mobilitazione collettiva e del coraggio personale a prescindere da quello che pensava delle guerre, di cui curava le vittime. Ma la vulgata indiscutibile è che lo sia stato proprio perché aveva quella idea della pace e della guerra e che quindi l’unico modo per onorare la suo opera sia quello di sposare il suo pensiero e di riconoscerne non solo – come è ovvio – la legittimità, ma la profonda e indiscutibile verità, il radicale e indubitabile fondamento.

Attorno all’idea della pace e della guerra di Strada si è costruita una mitologia para-religiosa analoga a quella che, sull’altro versante politico, ha imperversato per decenni rispetto ai campioni dell’impegno antidroga, a partire da Vincenzo Muccioli, che aveva lasciato una vita agiata per fare della sua casa e dei suoi possedimenti una sorta di infernale ospedale da campo, in cui accoglieva quanti – per primi: i “peggiori” – si ammassavano davanti ai cancelli di San Patrignano, perché nessun altro offriva loro un soccorso così gratuito, immediato e disinteressato.

Forte dei meriti di un impegno inizialmente solitario di sostegno ai tossicomani abbandonati (davvero abbandonati) dallo Stato alla militanza o alla sudditanza criminale, Muccioli aveva trasposto il movente morale della sua attività contro la droga in un’ideologia politica che cambiò – decisamente in peggio – le politiche e le leggi sulla droga in Italia. Il suo no assoluto alla droga diventava un no altrettanto assoluto a ogni politica di riduzione del danno, che, anche senza sposare l’impostazione antiproibizionista, si misurasse con gli effetti concreti di questo manicheismo ideologico. E come Strada vedeva nelle azioni di peace-keeping e peace-making la cultura della guerra prevalere per il fatto stesso che a essere utilizzati fossero strumenti militari e che al vertice ci fossero comandi Usa, Muccioli – e tanti come lui – ritenevano che tutte le droghe fossero uguali e andassero trattate allo stesso modo – la marijuana come l’eroina – e che il metadone, le terapie farmacologiche o qualunque forma di compromesso legale con le dipendenze fossero tutti cedimenti alla “cultura dello sballo”.

Strada e Muccioli sono stati, in modo diverso, due generosi e eroici esorcisti, impegnati a combattere il “Maligno” – quello della guerra, quello della droga – che vedevano dilagare nella storia umana, senza valutare minimamente se a farlo scomparire fosse sufficiente l’indisponibilità al compromesso e il rigore etico. Strada diceva di non essere pacifista, ma contro la guerra e quindi contro tutte le guerre, come Muccioli non diceva di essere proibizionista, ma contro la droga e dunque indifferentemente contro tutte le droghe, comprese quelle sostitutive utilizzate nel trattamento farmacologico delle dipendenze. Tranne quelle legali, ovviamente, che coltivava nelle sue tenute, facendo, con il lavoro dei tossicodipendenti, vini di grande qualità.

Come allora non si consentiva di mettere davvero in discussione quel che diceva Muccioli sulle politiche in materia di droga, con tutto quello che faceva per i drogati (pure un grande giurista come Giuliano Vassalli accettò di mettere la sua firma su una legge scritta di fatto - e coi piedi - a San Patrignano) oggi non è sostanzialmente consentito di mettere in discussione quel che diceva Strada sulla guerra, con tutto quello che gloriosamente ha fatto per le vittime delle guerre che hanno insanguinato il mondo. Chi ricorda a metà degli anni ’80 gli scontri feroci di Pannella con Muccioli – “Io mi occupo di una guerra, tu dei feriti e dei mutilati lasciati sul campo” – ricorda anche che l’argomento più frequente utilizzato per zittire gli antiproibizionisti era che loro per i drogati non facevano niente, mentre Muccioli e i rappresentanti delle decine di organizzazioni laiche e cattoliche che confluivano nel Coordinamento nazionale antidroga avevano dedicato tutta la vita ad aiutare i drogati. Se non avete una comunità, non potete parlare di droga; se non avete ospedali in Afghanistan, non potete parlare di Afghanistan.

Quando però Muccioli, assediato dalle inchieste giudiziarie e già gravemente malato, iniziò a essere scaricato da molti esponenti dell’antidroga “ufficiale”, Pannella nel 1995 volle celebrare proprio a San Patrignano l’assise degli antiproibizionisti radicali, per rendere omaggio all’impresa cui Muccioli (che sarebbe morto qualche mese dopo) aveva dedicato la vita e per distinguere laicamente gli errori politici del personaggio che Muccioli era diventato dalla grandezza umana della persona che era stato e dell’opera a cui aveva dato forma e vita.

Da molti punti di vista a sinistra, in tutti questi anni, è mancato qualcuno che riuscisse a fare con Strada, nello scontro e nel confronto, quel che Pannella seppe fare con Muccioli, misurandosi con lui onestamente, senza encomio e senza oltraggio, distinguendone l’apostolato umanitario dalla fede ideologica, non facendone né un santone, né un santino. Ci avremmo guadagnato tutti, anche il fondatore di Emergency.