rula jebral sanremo grande

Non dico che non ho mai visto nulla di tanto osceno perché basta girarsi verso qualsiasi cosa normalmente italiana - sia per strada o su un giornale o in televisione o a teatro o sui banchi di libreria o in tribunale o a scuola o in parrocchia e ovunque dal salotto alto all’ultimo cesso pubblico - perché quella medesima oscenità ti venga incontro uguale uguale, eterna e irrevocabile nella sua compiutezza plebea, nella ineluttabilità del suo riposante conformismo strapaesano.

Eppure la sceneggiata sanremese della signora Rula Jebreal è stata capace di celebrare il trionfo come di una realizzazione sintetica di quell’oscenità nazionale, perfezionandola mentre si perfezionava nell’interlocuzione burina col pubblico lacrimante davanti alla pornografia dolorista delle “parole urgenti”, secondo la definizione del presentatore che si faceva compunto nella parentesi delle “cose serie” tra la cronaca della tetta che cade e la stecca del cantante “così sensibile” perdonata per scriminante omosessuale (il razzismo pretesco-progressista che sdogana il gay bravo ragazzo e pieno di talento è una delle insopportabili conquiste organizzate in questa sentina di perbenismo da carità domenicale che è la televisione pubblica).

Da questo bel pastone, come estrusa dal dispositivo ipocrita del buon sentimento lottizzato in fascia oraria, prendeva forma l’escrescenza nobilitante della denuncia donnista, con la tragedia privata che si esponeva allo scrutinio guardone del Paese meraviglioso che ha accolto la querelante nazionalizzata, la faccetta nera dell’Italia colonial-democratica. E tutti giù a salutare - “Finalmente!”, “Brava!”, “Che donna!”- il coraggio, la forza, la dignità, il pianto trattenuto nel monologo che tira il “pugno nello stomaco” dello spettatore facultizzato a condividere lo sbudellamento in diretta.

Dice: “È ora che queste cose si sappiano!”. Pardon: quali cose? E che si sappiano come? Le statistiche sulle violenze contro le donne tramite informativa riassunta dalle lacrime della nipote? E poi: “Sono temi importanti!”. Eccerto, come se il “tema importante” non fosse puntuale nella soap più orrenda. E infine (c’è da giurarci): “Ma quello non è un film! È vita reale!”. Appunto: un reality.

@iurimariaprado