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Il cosiddetto decreto sicurezza non è un provvedimento “fascista”. Chi si aspettava sfracelli da Salvini ne ha sottovalutato sia la furbizia sia l’interesse, che non è a fronteggiare gli effetti collaterali di una legislazione discriminatoria e platealmente anticostituzionale, ma a drogare la domanda e a monopolizzare l’offerta di protezione, offrendo riconoscimento alla frustrazione suprematista del “prima gli italiani”.

Salvini è un fascista da palcoscenico, non (ancora?) da regime. Non vuole buttare fuori dagli asili e dalle case popolari gli stranieri che “rubano il posto ai nostri bambini e ai nostri poveri”. Vuole dare l’impressione di essere disposto a farlo, se solo lui potesse e la cosa servisse, e soprattutto di essere pronto – lui solo, contro i “buonisti” – a dare ragione e soddisfazione a chi questo apertamente chiede, senza più riserve o inibizioni.

Alla fine il contenuto del decreto sicurezza è solo peggiorativo del male intrinseco di una politica che, su tutti i temi sensibili, finisce per occuparsi della sola “sensibilità” popolare, ma non del suo contenuto e del suo oggetto, col risultato di cronicizzare a un tempo il pregiudizio e l’inefficienza. Per come si parla di “sicurezza” o di “precarietà” – l’altro evergreen della demagogia popolista – non si può evitare che da quelle parole discendano questi fatti.

Per parlarne diversamente, bisognerebbe invertire l’inerzia di un senso comune per un verso naturale – la xenofobia è un riflesso “immunitario” automatico, dal punto di vista individuale e sociale – e per altro verso indotto da una deriva culturale legata alla popolarizzazione delle élite e all’inclinazione mimetica e parassitaria delle classi dirigenti a confondersi con la cosiddetta gente comune: il conformismo dall’alto – la paradossale furia iconoclastica dei chierici del potere – che sta letteralmente appestando le democrazie occidentali.

Salvini avrà gioco facile a dire di non avere previsto nulla di troppo diverso da quello che anche i “buonisti” hanno fatto, o promesso, alle prese con le lamentele popolari: solo una stretta un po’ più odiosa alla cultura dei diritti e qualche concessione in più a quella retorica dell’odio politicamente corretto a cui bisogna inginocchiarsi per non essere buttati fuori dal mercato politico. Il Ministro dell’Interno è solo il più abile rentier di un’emergenza – quella dell’invasione, dell’immigrazione fuori controllo, della sostituzione etnica - che (quasi) tutti hanno aiutato a costruire e a incistare nell’immaginario popolare e che non ha nessun fondamento reale. Nessuno, ma non si può dire.

@carmelopalma