nave diciotti migranti grande

Sono due anni, ormai, che studio il Sistema Comune di Asilo Europeo. Trattandosi di una materia complicatissima, e legata a filo stretto al tema dell’immigrazione e del diritto del mare (materie ancora più ostiche) ho visto negli ultimi tempi autorevoli professori dire egregie fesserie ogni volta che si avventuravano, anche cautamente, in un ambito che conoscevano un po’ meno bene. Provo quindi a dire qualcosa a metà tra il politico e il tecnico su una questione ancora più generale della Diciotti, con il caveat che anche io – che sono un semplice dottorando - sono tutt’altro che immune dal rischio di dire fesserie.

La vicenda, nei suoi termini generali, è nota: dal 20 al 26 agosto il Ministro dell’Interno – dietro cui si è schierato “compatto” il governo – ha impedito lo sbarco a Catania di circa 150 persone salvate dalla Guardia Costiera. Il 22 agosto il Presidente del Consiglio ha scritto che l’Europa deve “battere un colpo” e “intervenire per operare la redistribuzione dei migranti” a bordo della nave. 
La stessa cosa aveva chiesto dopo il recente sbarco del 16 luglio: allora 6 paesi europei si erano offerti di ricollocare parte dei richiedenti asilo - non è chiaro però secondo quale procedura, tanto che secondo lo stesso Presidente del Consiglio ad oggi “solo la Francia ha onorato l’impegno”
Ora, è evidente che gridare alla ”emergenza sbarchi” – come fa Conte – e fare il giro delle cancellerie europee chiedendo per via diplomatica un aiuto per la ricollocazione dopo ogni singolo sbarco è una pratica politicamente insostenibile, anche perché gli altri governi sono coscienti del fatto che in Italia non esiste oggi alcuna “emergenza” – essendo gli sbarchi in calo dell’80,09% rispetto al 2017. In una cordiale lettera pubblicata dal Presidente del Consiglio sul suo profilo Facebook, il Presidente della Commissione europea gli fa notare al riguardo come “queste soluzioni ad hoc non rappresentano un modo di procedere sostenibile e soddisfacente”.

Si dovrebbe dunque trovare una soluzione definitiva al problema della mancanza di una “equa ripartizione di responsabilità” e di “solidarietà” (Art. 80 del Trattato sul Funzionamento dell’Ue) tra gli Stati Membri sul tema della protezione internazionale. Questa soluzione ha un nome e un cognome: si chiama riforma del Regolamento di Dublino.
Il regolamento di Dublino ha il fine di individuare lo Stato Membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale; in molti casi, si tratta del paese di primo arrivo. Questa norma è chiaramente sfavorevole ai paesi che presidiano i confini esterni dell’UE, tra cui l’Italia. D’altronde, dopo l’aumento dei flussi migratori iniziato nel 2014, i paesi di frontiera, per convenienza o necessità, hanno spesso disapplicato norme connesse al Regolamento di Dublino: prima dell’introduzione degli hotspot, ad esempio, l’Italia non registrava tramite impronta digitale circa la metà dei migranti sbarcati, permettendo loro di chiedere asilo per la prima volta oltralpe.
In generale, oltre ad essere iniquo e ad essere inadatto a situazioni di flussi ingenti (“good weather law”, lo definiva uno studioso), il Regolamento di Dublino è inefficiente e funziona malissimo. Insomma: va riformato. E, sorpresa! dal 2016 l’Unione Europea sta lavorando proprio per fare proprio questo.

La procedura legislativa ordinaria, con cui l’UE adotta larga parte dei suoi atti legislativi, può risultare difficile da comprendere in dettaglio. In estrema sintesi, il potere di iniziativa legislativa spetta alla Commissione Europea. Poi ci sono due co-legislatori che devono negoziare ed adottare uno stesso identico testo: il Parlamento, organo “sovranazionale” direttamente eletto che rappresenta i cittadini europei, e il Consiglio dell’UE – organo “intergovernativo” ove seggono i ministri dei governi degli Stati Membri. 

Il 4 maggio 2016 la Commissione Europea ha presentato una proposta di riforma del regolamento di Dublino con uno sviluppo positivo per l’Italia: l’introduzione di un meccanismo di ricollocazione automatica di richiedenti asilo nel caso uno Stato si trovi a doverne accogliere un numero sproporzionato. Rimane però la preponderanza di fatto del criterio del paese di primo arrivo, penalizzante per l’Italia.
Bene: il Parlamento europeo ha ricevuto la proposta della Commissione e, nel novembre 2017, l’ha modificata approvando una Posizione rivoluzionaria, che supera il criterio del Paese di primo arrivo e impone un meccanismo permanente e automatico di ricollocazione. Per prima cosa si controlla se il richiedente asilo ha un “collegamento genuino” con un Paese UE; se ciò non accade, al richiedente asilo viene permesso di scegliere tra i quattro paesi che stanno ospitando in quel momento la percentuale più bassa di richiedenti asilo rispetto alla loro popolazione e al loro PIL. Se alcuni Stati (tipo quelli del gruppo di Visegrad: Ungheria, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca) rifiutano di accogliere la loro quota, il Parlamento propone multe e tagli a fondi europei. 
Una proposta giusta, coraggiosa, lungimirante – e molto vantaggiosa per l’Italia. A portarla avanti (come shadow rapporteur di S&D) c’è stata anche l’europarlamentare italiana Elly Schlein. La Posizione è stata approvata dalla Commissione LIBE del Parlamento con 43 voti favorevoli e 16 voti contrari. Tra i voti contrari quelli di M5S e Lega (la tabella coi voti in Commissione è l’ultimo item del report del Parlamento).

E qui c’è il primo mistero: perché Lega e M5S hanno votato contro una proposta di riforma di Dublino molto, molto favorevole all’Italia?

E poi: perché Lega e M5S, che ora fanno il giro delle cancellerie europee per elemosinare qualche ricollocazione per via diplomatica dopo ogni singolo sbarco, hanno votato l’anno scorso contro un meccanismo permanente e automatico di ricollocazione che superava il criterio del Paese di primo ingresso?

E ancora: perché il governo italiano non appoggia nel Consiglio la Posizione rivoluzionaria del Parlamento europeo? Perché ha accettato (nelle Conclusioni del Consiglio Europeo dello scorso giugno) di firmare un impegno politico a cercare l’unanimità (“consensus”) per la riforma di Dublino - quando la maggioranza qualificata è più che sufficiente alla luce della procedura legislativa ordinaria? Perché si è alleato nel Consiglio con i Paesi di Visegrad, che hanno interessi radicalmente opposti ai nostri, si oppongono alla riforma di Dublino e si sono rifiutati di effettuare le ricollocazioni obbligatorie dall’Italia e dalla Grecia previste da due decisioni del Consiglio del 2015?

Ora, a meno di imprevedibili e rivoluzionari sviluppi sui vaghi concetti di "controlled centers" e "regional disembarkation platforms" introdotti dal Consiglio Europeo di giugno, io a queste domande vedo solo tre risposte:
1) Non so / non ho capito qualcosa io
2) Non sanno / non hanno capito qualcosa loro
3) Ilva, TAP, TAV, IVA, xylella, condono, spread, debito, aste BOT, Fornero, flat tax, reddito di cittadinanza sono cavoli amari e chiedono decisioni (o rinunce) che fanno perdere consenso. Cosa c’è di meglio allora, per occupare le scena, che gridare alla “emergenza sbarchi” e alla “Europa che dorme e non fa la sua parte” ogni volta che una nave si avvicina alle nostre coste?