La colonna infame dei vitalizi e il silenzio osceno dei 'non populisti'
Diritto e libertà
Non c'è giorno che la politica vincente non edifichi una colonna infame contro qualche nemico del popolo. Il provvedimento contro i vitalizi dell'Ufficio di Presidenza della Camera è uno dei più squallidi e gratuiti monumenti all'odio sociale, un inno alla carneficina mediatica di qualche centinaio di vecchi ex parlamentari o delle loro vedove, senza alcuna misura e senza alcun’altra giustificazione che non sia quella di punire i "professionisti della politica".
Come tutte le colonne infami, a partire da quella di manzoniana memoria, anche questa finirà per ricordare non l’infamia dei giustiziati, ma quella dei giustizieri. L’idea di sfamare il coccodrillo dell’indignazione popolare con sempre più abbandonante carne umana, per sperare di salvare la propria, oltre a essere ignominiosamente vile, è anche del tutto inutile.
Anche Salvini, anche Di Maio, anche tutti gli altri replicanti patogeni della Xylella parlamentare, finiranno come i loro predecessori vittime del cannibalismo che, mischiando invidia sociale e falsa coscienza, anima quell’inclinazione insuperabilmente rappresentata da Pannella nel “conformismo dei clienti” sempre pronto a voltarsi nella “rivolta dei pezzenti”, nella eterna piazza Venezia convocata in un eterno piazzale Loreto, in una eterna caccia all’uomo da appendere e vilipendere e chiamare testimone dell’innocenza del popolo.
L’oggettiva iniquità di molti (passati) vitalizi non c’entra letteralmente niente. Appartiene allo stesso statuto irresponsabilmente gerontocratico della spesa pubblica italiana, di cui hanno goduto, insieme agli eletti, anche i loro elettori. Appartiene ai conti che l’Italia deve pagare e quindi a un debito materiale e morale, che il popolo e i capitani del futuro pensano invece di ripudiare accanendosi contro i presunti “colpevoli”.
Dimezzare o più che dimezzare da un giorno all’altro il vitalizio a un ottantenne (a prescindere dalla sua condizione, dal suo stato, dalle circostanze di fatto della sua vita) è una patente di indecenza, non di nobiltà. La totale assenza di misura, di intelligenza delle cose, di giudizio relativo a beneficio di una macelleria all’ingrosso dei politici e dei loro familiari, qualifica i membri dell’ufficio di presidenza della Camera come dei (più o meno metaforici) picchiatori politici.
L’Italia è Paese in cui la pensione pubblica è stata per decenni e per tutti, ricchi e poveri, privilegiati e disgraziati, finti invalidi e finti lavoratori, baby pensionati ed evasori senior, una rendita dovuta alle regole sbagliate della nostra democrazia di scambio e non una prestazione sociale equa e sostenibile. Non è un caso che l’Italia sia il solo Paese dell’Ue in cui per pensioni si spende più della metà della spesa sociale (anche molta di quella non pensionistica premia i più anziani).
I vitalizi dei parlamentari non sono l’eccezione a questa regola, ma ne sono esattamente la conseguenza. La fuoriuscita da questo sistema, nel 2011, è stata brusca per tutti, parlamentari e non parlamentari. Ma i vitalizi come le pensioni retributive d’oro, d’argento o di bronzo di cui usufruiscono milioni di italiani vecchi, a spese di altri milioni di italiani giovani o adulti, non possono essere tagliate con lo stesso spirito e la stessa logica con cui i boia tagliano le teste. Chi lo fa, non fa giustizia, se non nel senso del boia.
In tutto questo, peraltro, non è neppure detto che alla Camera sia più oscena la retorica dei “populisti” del silenzio dei “non populisti”, che si limitano – quando va bene – a alcuni distinguo legulei. Certo, dal punto di vista politico, l’atteggiamento dei secondi sarà ancora più perdente e se lo meritano, quanto se lo meritano.