falconeborsellino

Totò Riina era un vecchio rimbambito piegato, oltre che dall’età e dalla malattia, da una pena molto dura inflittagli dallo Stato italiano. Non era più nessuno da anni e aveva un unico ruolo sociale: aiutare i giornalisti a riempire paginate di nulla basate su sue dichiarazioni, “rivelazioni”, che arrivavano dalla sua cella come fosse il confessionale del Grande Fratello. Come lo definiva qualcuno: il “Riina Muppet Show”, per la gioia di Travaglio e replicanti (Repubblica in primis).

È stato un animale, un criminale cui nessuno Stato civile avrebbe mai potuto rendere il male che ha fatto (e d’altronde in Italia il ruolo della pena non è retributivo). Ma ha davvero poco senso leggere che “è morto Riina ma resta la mafia”. Perché lui non era più se stesso da molto tempo e soprattutto perché la mafia di oggi è un’altra cosa: è criminalità organizzata come esiste in ogni parte del mondo; si è trasformata, evoluta e civilizzata.

Riina rappresentava tutt’altra mafia, che non esiste più da tanti anni, in buona parte per colpa dello stesso Riina. Viveva di omertà e compromesso; con la stagione delle stragi uscì allo scoperto e costrinse lo Stato a una reazione che arrivò efficacemente. Dire che la Mafia è ancora quella di Riina vuol dire non solo riferire un fiaba suggestiva quanto falsa: significa anche non rendere affatto un buon servizio alla memoria di Falcone e Borsellino. Loro condussero una vita sacrificata e di intelligente servizio che portò a straordinari risultati. Con il loro sacrificio arrivò poi il colpo finale alla mafia militarizzata.

È soprattutto in memoria loro e con gratitudine che possiamo dire, citando Fiandaca (forse il più importante penalista italiano in materia) che “la Mafia non ha vinto”. E proprio per questo la morte in gabbia di un vecchio rimbambito come Totò Riina rappresenta nei fatti un particolare quasi insignificante.