La scia di Capaci riporta a Regalpetra
Diritto e libertà
Nelle “Parrocchie di Regalpetra”, a un certo punto Sciascia racconta di un suo stupore. Ricorda come ancora nei suoi anni giovanili, alcune famiglie del paese venivano indicate come borboniche, benché da atti e testimonianze risultava avessero “avuto, anche prima del 60, mazziniani e liberali, uomini che rischiarono la galera o ci cascarono, che pubblicarono opuscoli, che con libertà e disinteresse servirono la causa dell’unità d’Italia... Perció mi chiedo com’è possibile che così le posizioni si siano rovesciate”.
Ma lo stupore presto si acquieta: “...la risposta mi viene da quello che ho visto quando il fascismo è crollato, i fascisti nel Comitato di Liberazione, i fascisti che epuravano, gli antifascisti veri, sconvolti e pensosi per gli avvenimenti, pietà e dolore li allontanavano dal gioco delle vendette e delle ricompense, rischiarono di essere considerati fascisti”.
Il gioco delle vendette e delle ricompense.
Terribile gioco a partire dal quale, nel cadere anno dopo anno della memoria di Capaci, quello stupore si rinnova. Nel pensare a quanti, nemici dichiarati di Falcone, in suo nome hanno imposto le loro mistificazioni; e a quanti, suoi amici, invece, sono stati sottoposti a violente epurazioni, a indicibili vendette.
Il Gen. Mori, incaricato di molte e delicate indagini, una specialmente, di particolare attribuzione fiduciaria, “Mafia e Appalti”, rimasta a lungo indigesta, nonostante la sua rapida archiviazione; da venticinque anni accusato, accumula assoluzioni e tuttavia, è sempre ricondotto al giogo giudiziario da un potere in costante licenza da ogni norma, da ogni ragione, da ogni misura di rispetto di sé e degli altri. Un potere che pare trarre linfa dai suoi stessi errori, e che, per questo, si può permettere di ignorarli e di non chiedere mai scusa. E il dott. Contrada, oggetto di un’accusa “sartoriale”, reati costruiti contra personam, principi di civiltà stravolti, abusi conclamati coram Europae e, ciò nonostante, persino rivendicati.
E i molti altri che hanno dovuto subire lo sterminio dei loro diritti, della loro pace e della loro libertà, e particolarmente gli imprenditori piccoli e medi, “colpevoli di essere vittime”, come Pietro Cavallotti e la sua famiglia (ma Falcone, al contrario, definiva gli imprenditori taglieggiati “inermi cittadini”, negando cosí, univocamente, che cercare di sottrarsi ad un esito come quello di Libero Grassi, potesse costituire una qualche colpa). E Cavallotti ha poco più di vent’anni: sia precisato in particolare a beneficio dei suoi coetanei, ove mai fossero presi dalla velleità di considerare che il loro futuro in Italia possa svolgersi liberamente, senza prima mettere mano agli effetti di questo manipolato, e tuttora manipolante, passato.
Simili violenze e imposture, pertanto, sono state perpetrate perché un Apparato (il Sistema delle DNA e della DIA), via via divenuto privo di ogni giustificazione istituzionale e politica, possa seguitare ad esistere. Perché, venato di un feroce pauperismo, possa vedere in ogni euro (altrui) un “ragionevole sospetto”; e agire perciò secondo perniciose astrazioni dogmatiche; e funestare la vita della Repubblica in generale, e di alcune regioni in particolare.
Chiudendole entro un campo minato, cinto da torrette e filo spinato, da cui ogni opportunità di investimento economico, e di civile vita associata si terrà a debita e necessitata distanza, con buona pace di ogni “Recovery”.
Come è stato possibile che quanti, magistrati e “industriali culturali”, politicanti e tirapiedi di varia foggia, avendo mosso contro Falcone accuse di collusione con forze politiche ritenute senz’altro corrotte e filomafiose, e dandogli del “guitto”, attribuendogli depistaggi e insabbiamenti, abbiano fatto dei loro insulti un merito?
E, avendogli impedito, “a norma di CSM”, ogni meritato riconoscimento funzionale; avendo definito la Superprocura un’invenzione fascistica, abbiano poi potuto vampirescamente nutrirsi del suo sangue?
Affermare l’esistenza di “Livelli” da lui recisamente negati, facendo dell’azzardo giudiziario un mestiere? Rilanciare e blindare l’unicità delle carriere, alla cui separazione invece proprio la Superprocura intendeva aprire la via? E bestemmiare di “autonomia e indipendenza”, dopo averne tanto clamorosamente manifestato, via ANM, un impiego arbitrario e feudale?
Peraltro, a proposito di “livelli”, quegli asseriti depistaggi e insabbiamenti si vollero specialmente a favore democristiano: così che, pour cause, democristiani sarebbero stati due fra i più illustri massacrati dal “nuovo corso” post-Capaci: Andreotti e Mannino; il primo, “garante”, dal cui Governo, tuttavia, Falcone aveva accettato il noto e vistoso incarico ministeriale, e il secondo, del pari Ministro di quello stesso governo; un Falcone rimasto vivo, allora, e con “oggettive cointeressenze di questo livello” (eccolo) - simuliamo un lessico adeguato al metodo - sarebbe certamente finito in un altro tritacarne, ma con l’aggiunta di un corollario d’infamia in concorso.
E, dunque, come è potuto succedere tutto questo? È semplice da capire. Perché, nel rinnovarsi dello stupore sciasciano, qui si rinnova anche la sua risposta.
Coniugando quelle tradizioni mistificanti, per cui il borbone si fa liberale, il fascista, antifascista, e il nemico di Falcone, amico di “Giovanni”. Una coniugazione che, certo, ha avuto, ed ha, suoi luoghi d’elezione nelle Procure, nei tribunali, nei pulpiti cartacei, digitali e televisivi.
Ma, soprattutto, nelle coscienze rancide dei molti milioni di italiani che, celando la miseria in un’anomima viltà, dai loro divani, settimana dopo settimana, talk dopo talk, velina dopo velina, hanno scientemente accettato questa ennesima impostura.
Ecco come. Ma Lui è morto. Quelli, no. E si vede.