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L’aneddoto riportato da Aulo Gellio nel ventesimo libro della sua opera “Notti Atticae” (159 d.c.) è impresso nella memoria di tutti i liceali esuberanti che abbiano affrontato la relativa versione latino/italiano: il giovane patrizio Lucio Verazio, dotato di buon capitale di famiglia e mani pesanti, usava aggirarsi nel Foro Romano appioppando schiaffoni a coloro che incontrava e che, per imperscrutabili motivi, non dovessero andargli a genio.

Per evitare l’intervento delle guardie e le noie dei processi, immediatamente dopo la sventola egli si premurava di far corrispondere alla malcapitata vittima, a mezzo di uno schiavo che lo seguiva appositamente con un vassoio di monete, i 25 assi che erano la pena prevista in allora dalle XII Tavole (il Corpus di diritto civile e penale vigente) per le percosse.

Da rilevare che, secondo il resoconto di Gellio, attorno alla metà del II secolo a.c., proprio la condotta del fantomatico Verazio avrebbe indotto il Pretore romano ad accantonare sul punto le XII Tavole, stante l’irrisorietà del risarcimento (dal listino prezzi della Taberna dissepolta dagli archeologi a Pompei sappiamo che con un asse si comprava un piatto di fagioli), per adottare la più efficace Actio iniuriarum aestimatoria, ovvero il diritto della vittima di chiedere al Giudice un risarcimento commisurato all’entità del danno e che avesse anche una qualche deterrenza. Il problema, perché è evidente che c’è un problema, era dunque già perfettamente delineato 2000 anni fa. Vediamo oggi.

Con Legge 103/17 in vigore dal 3 agosto u.s. il legislatore italiano ha ritenuto di introdurre nell’ordinamento, mediante il nuovo art. 162 ter c.p., il principio della “condotta riparatoria” quale causa estintiva del reato. Non si tratta per la verità di una novità assoluta per il nostro ordinamento, essendo come noto presente identico istituto nel giudizio penale davanti al Giudice di Pace (art. 35 L.274/00). Allo stesso modo, non è neppure il primo istituto che introduca la sistematica possibilità di un mancato esercizio dell’azione penale a fronte di talune condizioni: si pensi al procedimento di messa alla prova di cui agli art. 464 bis e ss. c.p.p. introdotti con L.67/14 a mente dei quali, anche nella fase delle indagini preliminari, ovvero prima dell’esercizio dell’azione penale, l’indagato può chiedere di essere messo alla prova e, nel caso di esito positivo della prova, il Giudice pronuncia l’estinzione del reato. Inoltre, non è neppure l’unico, e certo non è il più efficace, strumento deflattivo dei carichi processuali, visti i recenti interventi di depenalizzazione introdotti dal legislatore.

Tuttavia, l’inedita portata, attuale e soprattutto futura, in termini di potenzialità della norma, suscita taluni interrogativi che vale la pena scandagliare per quanto brevemente. L’art. 162 ter c.p. così recita: “Estinzione del reato per condotte riparatorie

1. Nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato. Il risarcimento del danno può essere riconosciuto anche in seguito ad offerta reale ai sensi degli articoli 1208 e seguenti del codice civile, formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo.

Quando dimostra di non aver potuto adempiere, per fatto a lui non addebitabile, entro il termine di cui al primo comma, l’imputato può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, per provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento; in tal caso il giudice, se accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e comunque non oltre novanta giorni dalla predetta scadenza, imponendo specifiche prescrizioni. Durante la sospensione del processo, il corso della prescrizione resta sospeso. Si applica l’articolo 240, secondo comma.
Il giudice dichiara l’estinzione del reato, di cui al primo comma, all’esito positive delle condotte riparatorie.

Pare evidente già alla prima lettura che, nonostante la dicitura della rubrica, tale nuovo istituto non abbia molto a che fare con la c.d. “giustizia riparativa”, essendo preminentemente volto alla pura e semplice deflazione dei carichi di lavoro giudiziari, come peraltro espressamente dichiarato dal legislatore nella relazione tecnica di corredo del progetto originario di legge. Ed infatti, non vi è alcuna traccia nella norma o riferimenti alla necessità di mediazione/ricomposizione/riconciliazione dei soggetti coinvolti nel reato; viceversa la “ricomposizione” risulta cardine delle analoghe cause di estinzione del reato in Francia e Germania dove lo strumento teorico della “giustizia riparativa” è uno dei pilastri di sistema.

In effetti, poiché l’estinzione del reato di cui all’art. 162 ter c.p. è dichiarabile dal Giudice anche contro il parere contrario della vittima la quale ritenga non congruo il risarcimento offertogli, si può ben concludere in prima battuta che detto strumento serva quasi unicamente a dotare il Giudice del potere di vincere unilateralmente l’eventuale resistenza della vittima ad accettare la mancata punizione del reo a fronte di un risarcimento ritenuto incongruo.

A corroborare questa lettura concorre senz’altro l’ambito di applicazione previsto per tale istituto: esso trova applicazione, infatti, con riferimento ai soli reati procedibili a querela soggetta a remissione. Il che, come noto ai frequentatori delle aule penali, appare curioso se si pensa che sino ad oggi proprio i reati procedibili a querela rimettibile erano quelli con il più alto tasso di estinzione per intervenuta remissione di querela. Ovviamente previo risarcimento, tipicamente concordato tra legali. Si tratta quindi di un doppione inutile? No perché, appunto, l’apparente doppione ha la funzione di consentire l’estinzione del reato anche laddove la querela non venga rimessa a fronte di un risarcimento ritenuto congruo dal Giudice.

Si pensi alla vittima che, legittimamente, ritenga non congruo il risarcimento ma che potrebbe ritenersi ristorata al pensiero dell’applicazione della pena al reo; e si pensi alla vittima che abbia ricevuto un (per lei) congruo risarcimento, ma che ritenga opportuna comunque la sanzione al reo. Entrambi questi casi risultano ora superati dall’istituto in esame.

Il legislatore, d’altra parte, nel perseguire lo scopo deflattivo di cui sopra, si è ben reso conto della portata oggi ridottissima dell’art. 162 ter c.p. stante l’esiguità dei reati procedibili a querela rimettibile dopo l’intervento depenalizzatorio dell’anno scorso (in pratica, il furto semplice ex art. 624 primo comma c.p. e poco altro). Per questo la L.103/17, all’art. 16, prevede la delega al Governo per l’introduzione del regime di procedibilità a querela per tutti i reati contro la persona puniti nel massimo con quattro anni di pena detentiva e per tutti i reati contro il patrimonio. Ma accanto a questa previsione apparentemente ampia, è rimasta salva in delega la procedibilità d’ufficio per tutte le ipotesi di fattispecie specialmente aggravate, per le ipotesi connesse alle aggravanti di cui al 339 c.p. , per le ipotesi di rilevante gravità e per il caso di vittima minorenne o incapace.

E’ ben stato evidenziato da tutti i primi commentatori della delega che ciò significa sostanzialmente riconoscere quale campo di applicazione futura dell’istituto, a valle della legge delegata, praticamente alla sola lesione semplice con prognosi superiore ai venti giorni (essendo le inferiori di competenza del GdP) e che meglio avrebbe fatto il legislatore a seguire l’esempio tedesco e francese prevedendo l’operatività dell’istituto anche per una buona parte dei reati procedibili d’ufficio laddove l’interesse privato leso sia preminente e intervenga la ricomposizione delle posizioni secondo i dettami della giustizia riparativa (ovvero un congruo ristoro del danno previa mediazione finalizzata alla maggior riconciliazione possibile delle parti). Invece, ad esempio, l’introduzione di animali sul fondo altrui resterà escluso dall’applicabilità della nuova fattispecie estintiva.

Una seconda conclusione sul punto parrebbe essere, dunque, che tale istituto concettualmente dirompente, fallisce di molto lo stesso scopo indicato dal suo ideatore. Venendo brevemente agli aspetti più tecnici del nuovo istituto, deve evidenziarsi che:

- l’estinzione del reato segue all’integrale riparazione del danno cagionato dal reato (ed è chiaro a questo punto che lo stabilisce solo il Giudice se la riparazione è integrale o no, anche ove la vittima non sia d’accordo sul punto), mediante le restituzioni o il risarcimento del danno e l’eliminazione, ove possibile, delle conseguenze dannose o pericolose del reato.

- È anche previsto che il risarcimento possa essere sostituito dall’offerta reale, ai sensi degli articoli 1208 e ss c.c., formulata dall'imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice ovviamente riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo.

- La dichiarazione di estinzione del reato consegue pressoché in automatico dopo aver “sentito” le parti (l’utilità di tale ascolto, non trattandosi di reale contraddittorio, lascia un po’ perplessi).

- Le condotte riparatorie devono essere poste in essere entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (quindi circa in media a tre anni dal fatto, ad essere ottimisti).

- Qualora l’imputato dimostri di non aver potuto adempiere, per fatto a lui non addebitabile, entro i termini anzidetti, può chiedere al giudice un ulteriore termine non superiore a sei mesi, per provvedere al risarcimento anche in forma rateale; in tal caso ove accolta la richiesta, il processo è sospeso per non oltre 90 giorni dalla predetta scadenza, restando altresì sospeso il decorso della prescrizione al fine di evitare che la “condotta riparatoria” diventi uno strumento dilatorio finalizzato all’estinzione del reato sì, ma senza esborsi.

- Infine, pur a fronte dell’estinzione del reato per “condotta riparatoria”, viene sempre ordinata la confisca obbligatoria di cui all’art. 240 comma secondo c.p. (si badi, non anche per le ulteriori forme di confisca previste dall’ordinamento).

- Le disposizioni dell’articolo 162 ter del codice penale si applicano anche ai processi in corso alla data della sua entrata in vigore ovvero 3 agosto 2017. In tali casi il giudice, laddove l’imputato nella prima udienza dopo il 3 agosto c.a. chieda la fissazione di un termine, concederà detto termine non superiore ai sessanta giorni, per consentirgli di provvedere a quanto previsto dall’articolo 162 ter c.p..

- Tuttavia, l’imputato, qualora dimostri di non poter adempiere, incolpevolmente, nel termine dei sessanta giorni, può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine non superiore a sei mesi. In questo caso l’accoglimento dell’istanza comporta la sospensione del processo e della prescrizione.

Terminata la rapida e non esaustiva analisi delle caratteristiche tecniche del nuovo istituto, appare chiara una terza possibile conclusione: è molto probabile che nelle aule dei Tribunali, attraverso la pratica quotidiana dei casi concreti, si consolidi nel tempo un “prezziario” della congrua riparazione, sul genere delle tabelle risarcitorie per le lesioni in sede civile. Ma qui siamo in sede penale, e ci si chiede se il legislatore, per mantenere una qualche credibilità del sistema punitivo strutturato sugli artt. 132,133, 133 bis c.p., non farebbe meglio a sottrarre alla discrezionalità delle aule penali il suddetto “prezziario”, introducendo l’obbligo di legge per il Giudice di parametrare la valutazione sulla congruità del risarcimento/ristoro/eliminazione conseguenze dannose del reato alla capacità patrimoniale e reddituale dell’imputato, così da prevenire la nascita di tanti Lucii Verazii, di cui francamente non si sente la mancanza.