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E' proprio vero che la disposizione del Codice dei Contratti finita agli onori delle cronache in queste ore sia stata abrogata al solo fine di ridimensionare i poteri attribuiti all’Autorità anti-corruzione di Raffaele Cantone e di ridurre l’azione di contrasto alla corruzione? Su questo il PD – che sia renziano o orlandiano poco cambia – sembra pronto ad una Große Koalition con il Movimento Cinque Stelle. Le dichiarazioni del senatore Esposito - per il quale la soppressione del comma non è soltanto un errore ma anche uno smacco alle prerogative del Parlamento - non sembrano diverse da quelle utilizzate dal vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, che dopo aver precisato che i senatori democratici stavano facendo finta di litigare, ha detto che “quello che sta facendo questo governo non ha niente a che fare con la lotta alla corruzione".

Al termine di un pomeriggio convulso è intervenuto il Governo precisando che il Presidente del Consiglio, nel corso della giornata, non si era limitato ad incontrare Trump ma si era anche tenuto in contatto con Raffaele Cantone, e che il comma sarà reintrodotto nell’ordinamento con il prossimo provvedimento utile.

A questo punto entrare nel merito sembra servire a poco. Visto però che il Consiglio di Stato l’ha fatto più volte, nell’esercizio delle prerogative che l’ordinamento gli attribuisce, vale comunque la pena di leggere le considerazioni e le riserve espresse dalla Commissione speciale insediata presso Palazzo Spada rispetto all'art. 211 comma 2 del Codice dei Contratti prima della sua entrata in vigore, rispetto allo schema di regolamento predisposto successivamente dall’ANAC in materia di attività di vigilanza e da ultimo sul decreto correttivo del medesimo Codice, che nel testo originariamente trasmesso in Parlamento non conteneva la soppressione dell’art. 211 comma 2.

Prima di richiamare le riserve esposte dai giudici di Palazzo Spada è utile tenere presente ciò che il comma temporaneamente soppresso prevedeva. In base all’art. 211 comma 2 del Codice dei Contratti “qualora l’ANAC, nell’esercizio delle proprie funzioni, ritenga sussistente un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura di gara invita mediante atto di raccomandazione la stazione appaltante ad agire in autotutela a rimuovere altresì gli eventuali effetti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni”. La sanzione per il mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante dell’Autorità entro il termine fissato è rappresentata da una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di € 250,00 a un massimo di € 25.000,00, a carico del dirigente responsabile e l’inottemperanza incide sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti.

Leggendo il parere n. 855 del 1° aprile 2016 si apprende che per la Commissione speciale insediata presso il Consiglio di Stato la norma non appare compatibile con il sistema delle autonomie “in quanto introduce un potere di sospensione immediata e uno di annullamento mascherato che esorbitano dai meccanismi collaborativi ammessi dalla Consulta con la sentenza 14 febbraio 2013, 20, pronunciatasi sull’art. 21 bis della legge n. 287/1990”. Allo stesso tempo, sempre a giudizio della suddetta Commissione, la norma presenta delle significative criticità dal punto di vista della ragionevolezza e della presunzione di legittimità degli atti amministrativi, in quanto la sanzione amministrativa prevista colpirebbe la scelta amministrativa di non ottemperare alla raccomandazione dell’ANAC e dunque un provvedimento amministrativo - quale il rifiuto di autotutela - del quale deve essere presunta la legittimità fino a prova contraria. I giudici di Palazzo Spada segnalano che in questo modo si crea “una sorta di responsabilità da atto legittimo”.

Nello stesso parere n. 855 del 1° aprile 2016 il Consiglio di Stato – una volta rappresentata la necessità di riformulare la norma sulla scorta della disciplina dettata dall’art. 21-bis della legge 287/1990 al fine di assicurarne la compatibilità sia rispetto al dettato costituzionale sia alla legge delega - ha anche segnalato la necessità di limitarne l’operatività “ad atti di portata generale o in caso di appalti di importi particolarmente elevati” rispetto ai quali si può verificare la possibilità di ledere i valori concorrenziali e le regole di evidenza pubblica e dunque si giustifica “la discesa in campo dell’Autorità”. Questo - a giudizio dei giudici di Palazzo Spada - “anche in considerazione di problemi organizzativi che un potere generalizzato di sollecito all’autotutela e la conseguente sistematica presenza dell’Autorità in giudizio” senza trascurare, mi sento di aggiungere, i ben noti problemi di discrezionalità che un potere/obbligo generalizzato di sollecito all’autotutela si porta dietro.

Il Consiglio di Stato, che nel citato parere n. 855 del 1° aprile 2016 aveva suggerito l’opportunità che l’ANAC definisse delle apposite linee guida per l’esercizio del potere di raccomandazione vincolante che gli veniva attribuito, si è pronunciato anche rispetto allo schema di regolamento in materia di attività di vigilanza di cui all’art. 211 comma 2 e 213 del Codice dei Contratti predisposto dall’ANAC.
Nel parere n. 2777 del 28 dicembre 2016 la Commissione Speciale del Consiglio di Stato ha ribadito i rilievi esposti nel parere precedentemente richiamato offrendo non solo all’ANAC ma anche al legislatore ulteriori elementi sui quali riflettere anche in vista di eventuali interventi correttivi del Codice.

Il Consiglio di Stato, infatti, ha sollevato dei dubbi in ordine alla rispondenza tra l’atto delegato ed i principi stabiliti nella legge delega. Nel parere si legge, infatti, che “si può tuttavia dubitare che la legge delega, pur nella sua generica formulazione, abbia concepito il potere di raccomandazione come una forma, anche indiretta, di annullamento d’ufficio ed abbia consentito, quindi, di introdurre una nuova fattispecie di autotutela doverosa, dai connotati peculiari”.

In ordine a ciò il giudici del Consiglio di Stato hanno ricordato come il potere di annullamento d’ufficio, di cui all’art. 21-nonies comma 1 della legge 241 del 1990, può essere esercitato dall’organo che ha emanato l’atto “ovvero da altro organo previsto dalla legge”, ma che “la legge delega non contiene alcuna espressa attribuzione all’ANAC di un sostanziale potere di annullamento, seppure nella forma della raccomandazione vincolante”. E sulle modalità di esercizio della delega nel parere è stato evidenziato anche come “il disegno innovatore” alla base della disposizione sia stato attuato solo in parte “facendo della raccomandazione vincolante – quasi un ossimoro – il motore della revisione, ma mantenendone in capo alle singole stazioni appaltanti il veicolo formale, attraverso l’emanazione dell’atto conclusivo di tale inedita sequenza procedimentale.”

In merito a ciò, in omaggio allo spirito di leale collaborazione con le altre istituzioni pubbliche, la Commissione speciale del Consiglio di Stato - pur ribadendo le criticità della disciplina “che giustificherebbe un intervento correttivo primario” - ha proposto una interpretazione della norma che potrebbe consentire un’applicazione il più possibile coerente e sistematica. Confidando nel fatto che il Governo ed il presidente dell’ANAC facciano tesoro del contributo esposto nel paragrafo 6 del parere n. 2777 del 28 dicembre 2016 appare opportuno segnalare ad i parlamentari ed ai commentatori indignati in esercizio permanente effettivo alcune delle ulteriori “perplessità strutturali sull’istituto in termini giuridici ma anche in termini di efficacia pratica” esposte nel paragrafo 5.4 del medesimo parere n. 2777/2016.

Secondo il Consiglio di Stato la norma in questione finisce per creare “una responsabilità oggettiva avulsa dalla gravità (e dalla stessa esistenza) della violazione che inficia l’atto di gara censurato dall’Autorità, che potrebbe essere successivamente smentita dal giudice amministrativo”. Una responsabilità oggettiva di questo tipo “non tiene conto, altresì, della chiarezza del quadro normativo di riferimento o dalla complessità della procedura di gara” e si basa “unicamente sul rifiuto di attuare la raccomandazione vincolante a prescindere dal carattere giustificato o meno, colpevole o meno di esso”.

Quanto alla previsione di una sanzione amministrativa pecuniaria a carico del solo dirigente della stazione appaltante, secondo i giudici del Consiglio di Stato, procedendo in questo modo c’è la possibilità “di recidere il rapporto di immedesimazione organica tra la stazione appaltante e il dirigente, deresponsabilizzando, anche agli effetti contabili, la stazione appaltante, forse anche con profili che potrebbero essere considerati di dubbia compatibilità con l’art. 28 della Costituzione”.

A commentatori ed osservatori sensibili all’efficacia attuativa piuttosto che alla ragionevolezza ed alla compatibilità con la Costituzione più bella del mondo della norma in questione, i giudici di Palazzo Spada fanno presente che il meccanismo “non esclude che la stazione appaltante possa sottrarsi alla raccomandazione, restando inerte o confermando espressamente l’aggiudicazione ritenuta illegittima, preferendo andare incontro alle sanzioni suddette, ovvero impugnando la raccomandazione vincolante, e ciò anche in considerazione della incerta efficacia dissuasiva sia della sanzione pecuniaria (che appare di modesto importo, se rapportata ad appalti e concessioni di grande valore), sia della sanzione reputazionale, perché le misure premiali previste dall’art. 38 potrebbero apparire un vantaggio lontano, incerto e poco appetibile, per amministrazioni poco virtuose, rispetto al conseguimento di eventuali vantaggi illeciti immediati”.

Tornando a questioni che possono apparire più squisitamente formali, i giudici del Consiglio di Stato hanno evidenziato anche la distonia tra il termine massimo per adempiere alla raccomandazione (fissato in 60 giorni) e quello per impugnare la suddetta raccomandazione (che è soltanto di 30 giorni) previsto nel citato schema di regolamento in materia di attività di vigilanza di cui all’art. 211 comma 2 e 213 del codice dei contratti predisposto dall’ANAC. In questo modo, infatti, trascorso il termine di 30 giorni “- eccettuate, ovviamente, le ipotesi di impugnative proposte da terzi o di richiesta di riesame la raccomandazione si consoliderebbe definitivamente per la stazione appaltante, che negli ulteriori 30 giorni, indipendentemente dalle sue ragioni, non potrebbe dissentire dall’ANAC”.

Ed infine i giudici di Palazzo Spada hanno lanciato anche un monito sugli effetti che la disposizione in questione potrà avere sulla proliferazione del contenzioso in materia di appalti pubblici che, a giudizio di molti osservatori, appare il terreno più propizio anche per il moltiplicarsi di fenomeni elusivi e corruttivi che condizionano il corretto funzionamento di quel mercato.

Con la norma in discussione, al contenzioso tra stazioni appaltanti e operatori economici si potrebbe aggiungere, infatti, “quello, tutto interno alla sfera dei pubblici poteri, tra l’ANAC e le stazioni appaltanti, sia in ordine alla legittimità dei rispettivi contrastanti atti sia, e non da ultimo, in ordine alle eventuali (e reciproche) conseguenze risarcitorie.” Ciò anche perché la norma non esclude l’ipotesi che l’ANAC possa ricorrere in sede giurisdizionale “contro il silenzio nei confronti della raccomandazione vincolante o contro l’eventuale provvedimento di diniego di autotutela, anche per evitare che esso si consolidi definitivamente in danno dello stesso fondamentale interesse pubblico alla trasparenza e all’anticorruzione”.

Su questo punto, i giudici del Consiglio di Stato precisano ovviamente che spetterà alla giustizia amministrativa pronunciarsi sull’ammissibilità di ricorsi di questo tipo aggiungendo però che “il solo fatto che se ne possa discutere evidenzia la problematicità del dettato codicistico” e delle implicazioni applicative – al momento non esplorate forse non proprio per una mera casualità – del potere di raccomandazione vincolante attribuito all’ANAC dall’art. 211 comma 2 del Codice dei Contratti.

Non si può escludere, in conclusione, che i rilievi esposti dal Consiglio di Stato non obbediscano soltanto al ricordato spirito di leale collaborazione tra le istituzioni, ma che possano risentire di un potenziale conflitto sui poteri di controllo e sindacato rispetto all’attività degli enti pubblici tra giustizia amministrativa e l’ANAC e soprattutto che possano essere - con argomentazioni appropriate – messi in discussione e contraddetti. Quello che, però, non si può dire è che non ci siano stati inviti – argomentati e formulati nelle sedi e con le modalità proprie – a compiere una seria e serena riflessione sulla norma in questione, né che la soppressione dell’art. 211 comma 2 sia un colpo di mano ordito da una quinta colonna della corruzione che opera all’interno delle istituzioni.

Quanto al merito più complessivo della vicenda sulla quale, come segnalato, il giudizio delle forze politiche è pressoché unanime c’è da sperare che nel prosieguo del dibattito – ammesso che ci sarà - trovino adeguata rappresentanza anche quanti non vogliono rassegnarsi ad essere governati da una Große Koalition Cantonizzata e non danno per scontato il ragionamento secondo il quale l’introduzione di un potere di controllo generalizzato e pervasivo da parte di un’autorità indipendente - di per sé non responsabile - sia il modo per poter dotare il paese di un’azione pubblica efficiente, efficace, trasparente e responsabilmente capace di misurarsi con le wicked questions che sono in agenda e di difendere e perseguire l’interesse pubblico.