aulatribunale

La notizia dell'indagine della Procura di Roma sulle veline alla stampa sul caso Consip (oltre che sulle presunte soffiate agli indagati) è davvero una notizia. Nel senso che è l’unica cosa nuova e inedita che l’inchiesta, nel suo passaggio da Napoli e Roma, comporta nel rapporto tra la stampa e la magistratura inquirente, che in Italia appare regolarmente fondato sulla divisione del lavoro e del guadagno per le inchieste politicamente eccellenti e sul conseguente “sacrificio” del segreto investigativo, a vantaggio della libera e incontrollata circolazione di carte di indagine, in teoria coperte da segreto o comunque non pubblicabili.

I processi, in Italia, si fanno sui giornali, anticipando sentenze che dopo il dibattimento finiscono frequentemente ribaltate, semplicemente perché finisce sui giornali quel che secondo la legge sui giornali non potrebbe, né dovrebbe finire, a beneficio evidente di inquirenti e investigatori che dalle carte centellinate secondo un timing studiato creano un clima di opinione favorevole alle loro tesi d’accusa e sfavorevole, per definizione, all’immagine degli accusati, dei loro difensori e di quanti, ancorché timidamente, eccepiscono sull’opportunità di anticipare la gogna mediatica al processo penale e di confondere la “lotta al malaffare” (obiettivo sempre commendevole, ma non strettamente giudiziario) con le indagini su casi specifici di corruzione o di malversazione a danni della amministrazione pubblica.

È possibile, come emergerebbe da alcune indiscrezioni di stampa, che ci sia un vero e proprio scontro “istituzionale” tra la Procura di Roma, che ha tolto l’indagine Consip ai carabinieri del Noe, e quella di Napoli, che al Noe l’aveva affidata. Ma è certo – ripetiamo – che questo tipo di scontro è del tutto inconsueto, perché le fughe di notizie verso gli organi di stampa sono state per anni un’attività non solo tollerata, ma in qualche misura “giustificata” dal mandato popolare che la magistratura inquirente rivendicava nella repressione dei reati contro la PA. Su questa base, si è assistito incredibilmente a provvedimenti – misure cautelari, provvedimenti di sequestro… – bulimicamente infarciti di intercettazioni pertinenti e non pertinenti e di riferimenti al livello politico con il solo fine sdoganare la notiziabilità del lavoro delle Procure rispetto al loro “pubblico popolare”.

Il fatto che adesso ci sia un’inchiesta per fuga di notizie su di un’inchiesta (anche) per fuga di notizie può forse far ridere, ma fa sperare che anche i vertici degli uffici giudiziari prendano coscienza che la regola anomala dei pre-processi a mezzo stampa comporta la sostanziale politicizzazione della magistratura e la sua oggettiva subordinazione ad una “legge” – quella della fama, del consenso, del favore popolare – del tutto diversa da quella dei codici e pesantemente lesiva della sua indipendenza, oltre che del suo ruolo istituzionale nel sistema della divisione dei poteri.

I giornalisti che in diretta tv declamano i brogliacci della polizia giudiziaria, omissis compresi, non avvicinano la giustizia al popolo, ma l’allontanano dalla sua funzione. Forse qualcuno se ne sta accorgendo.

@carmelopalma