Attentato Nizza

Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza. (Benjamin Franklin)

Le dimensioni dei massacri e l'irridente facilità con cui il terrorismo fai da te miete vittime nel cuore dell'Europa teoricamente più preparata a prevenirne gli attacchi è un evidente segnale di debolezza. Ma di quale debolezza?

C'è chi sostiene che l'oggettiva vulnerabilità del nostro mondo sia il segno della debilitazione politica di un Occidente e (soprattutto) di un'Europa impreparata a respingere una minaccia ad un tempo identitaria e strategica e riluttante a riconoscere la natura essenzialmente "bellica" di questa sfida. Ci siamo rammolliti, insomma, in una cultura irenistica che non ha, né culturalmente né militarmente, i muscoli per fronteggiare la baldanza barbarica dei kamikaze e la forza egemonica di un islamismo politico (anche "democratico") sempre meno compatibile o alleabile con l'Occidente.

Ergo, la risposta sarebbe quella di smantellare tutto l'armamentario buonista e affrontare non solo il tema dell'immigrazione, ma anche quello della religione, come un problema di sicurezza e non più di diritto e tornare a ristabilire un confine visibile e presidiato tra il "noi" ebraico-cristiano" e il "loro" islamico.

D'altra parte c'è chi sostiene che a muovere i kamikaze europei sia il fallimento delle politiche di integrazione e l' irrisolta identità binaria delle generazioni post-coloniali, che spinge molti di loro a cercare rifugio in una casa astrattamente originaria (appunto, quella islamica) e i più disperati o alienati a reclutarsi volontari nella Jihād del Califfato o di qualunque altra sigla il fanatismo islamista abbia messo e metterà al servizio del loro scontento.

Ergo, in questo secondo caso, la risposta alla minaccia sarebbe quella di lanciare una sorta di gigantesco Piano Marshall interno, verso gli europei di seconda generazione di origine islamica, per persuaderli della convenienza di un pieno rientro nei ranghi della "nostra" società.

Entrambe le risposte rischiano di essere sbagliate e ideologiche, nel senso che cercano nel problema solo quel che vogliono mettere nella soluzione, sulla base di un presupposto che non viene messo in discussione.

Quanto al primo punto - alla risposta, diciamo così, di destra - l'illusione che sia possibile stabilire un confine fisico tra Islam e non-Islam è resa vana non solo dalle leggi schiaccianti della demografia, ma anche da quelle altrettanto implacabili della geografia economica e umana nella società globalizzata. Le vittime italiane dell'islamismo terrorista sono cadute a Tunisi e a Dacca. Gran parte delle prospettive di crescita e di prosperità del "nostro" mondo sono oggi in partibus infidelium. E ovviamente larga parte della popolazione del "nostro" mondo non è più "nostra". In Italia oggi un nato su cinque ha almeno un genitore straniero. Nel Nord Italia quasi uno su tre. Quale confine di sicurezza potrebbe correre dentro quelle famiglie? Nella minaccia islamista, l'identitarismo dell'Occidente spaventato e demograficamente declinante trova appunto la risposta che cerca "a prescindere" e che altrove oppone non agli islamici, ma agli ispanici (Trump), o ai balcanici e ai latini (Brexit).

Quanto invece al secondo punto - alla risposta di sinistra - il legame tra questione sociale e islamismo, in Europa, è meno scontatamente lineare. L'islamismo alligna anche (e forse soprattutto) dove i fenomeni di esclusione sono cronicizzati da un welfare abbondante e lenitivo e da forme di organizzazione sociale separatistiche. I fenomeni tipo Molenbeek non si spiegano solo con il reddito e il Pil pro capite. La fascinazione della vendetta islamista per giovani sbandati e marginali, ma non necessariamente miserabili, in guerra con il mondo e con la vita, non è neppure un fenomeno in senso stretto religioso, ma si aggrappa ad un "uso pubblico" della religione islamica che la predicazione virale diffonde e che proprio il carattere suicida e individualistico del gesto rende imprevedibile e inafferrabile.

L'Islam non è solo un pretesto, è la rubrica politica della rivolta nichilista. L'Islam c'entra tantissimo, anche se molti di quelli che uccidono nel suo nome - in Europa, la grande maggioranza - non sono affatto usciti radicalizzati dalle moschee, dove neppure sono mai entrati, ma si sono islamizzati sul web, per strada, in galera... E a questo contagio, l'Islam europeo non è ancora riuscito a fornire una risposta efficiente, che non sia di dissociazione morale. E se anche ci riuscisse, non per questo fermerebbe subito il contagio, per le stesse ragioni per cui la politica della fermezza del PCI contro il terrorismo rosso non fermò affatto, ma offrì un ulteriore pretesto all'escalation brigatista.

È difficile rassicurare un'opinione pubblica spaventata, che rischia di votarsi a santi protettori che promettono un di più di sicurezza, in cambio di un po' meno di libertà, di garanzie, di privacy e di... "buonismo". La vera offensiva strategica del Califfato e delle elite politiche del jihādismo globale non è quella per sottometterci, ma per farci politicamente suicidare appesi alla corda di un'illusione difensivamente "neo-segregazionista". E lungo quella strada ci spingono anche le vittime di un camion ideologicamente teleguidato a mietere vittime sul lungomare di Nizza.

Il problema è che oggi è impossibile, per un qualunque politico europeo, dire una verità che la concretezza della minaccia rende indigeribile alla generalità dei cittadini europei, cioè che il costo di questa evidente insicurezza (oggi endemica, non immediatamente rimediabile, non fronteggiabile con strumenti di intelligence convenzionali) rimane politicamente e umanamente inferiore a quello di una sicurezza apparente, pagata al prezzo di una guerra civile auto-dichiarata e della putinizzazione della società europea.

@carmelopalma