Quote latte, algoritmi truccati e vacche ottuagenarie. Proviamo a fare chiarezza
Diritto e libertà
Si torna a parlare di quote latte. Cerchiamo, attraverso brevi domande e risposte, di tradurre le terminologie più ostiche di un meccanismo burocratico complesso e di un’indagine che ha scoperchiato un pentolone del quale ancora non si scorge il fondo. Per fare chiarezza, evitando banalizzazioni e semplificazioni.
Che cos’è la quota? La quota è la quantità di latte che ogni allevatore può commercializzare senza incorrere nel “prelievo supplementare”.
Come sono state attribuite le quote ai singoli produttori? Le quote sono state attribuite suddividendo, in base ai dati contenuti nelle anagrafi bovine, la quota nazionale.
Che cos’è la quota nazionale? La quota nazionale è la quantità di latte che può essere prodotto dall’Italia. E' stata assegnata nel 1984 e successivamente aggiornata.
Che cos’è la multa? La multa è il modo in cui viene normalmente (e scorrettamente) chiamato il “prelievo supplementare”, ovvero il tributo che l’allevatore è tenuto a pagare, in determinate condizioni, quando commercializza una quantità di latte superiore a quella indicata nella sua quota.
E’ illegale produrre e commercializzare più latte di quanto previsto dalla quota? No. Nessuna normativa europea potrebbe imporre un limite alla produzione di un soggetto privato. Questo problema di carattere giuridico è stato aggirato con il prelievo supplementare: l’allevatore che supera la propria quota accetta il rischio di essere chiamato a pagare il prelievo supplementare, che in realtà è un tributo, non una sanzione, il pagamento del quale renderebbe antieconomica la sovrapproduzione.
Il prelievo supplementare scatta ogni volta che l’allevatore supera la propria quota? No. Un allevatore che supera la propria quota è tenuto a pagare il prelievo supplementare solo se l’intera produzione nazionale supera la quota assegnata all’Italia. Per esempio, se alcuni allevatori superano la propria quota ed altri producono meno, e quindi la quota nazionale non viene superata, nessuno è tenuto a pagare il prelievo supplementare.
Come avviene la riscossione del prelievo supplementare? E’ l’acquirente del latte a svolgere la funzione di sostituto d’imposta per il prelievo supplementare, dopo aver riportato nei modelli L1 la produzione complessiva di un anno di ogni singolo cliente/produttore.
Su cosa indagano i giudici? L’ipotesi di reato è falso in atto pubblico. Una indagine dei Carabinieri ha riscontrato molte incongruenze nei database delle anagrafi bovine, che risulterebbero gonfiate rispetto alla reale consistenza dei bovini da latte in Italia. I valori falsati potrebbero essere serviti ad emettere quelle che in gergo vengono definite “quote di carta”.
Cosa è una quota di carta? Viene comunemente definita “quota di carta” un diritto di produzione legato ad una consistenza zootecnica fittizia. Potrebbe essere usato illegittimamente da un allevatore per giustificare una sovrapproduzione ed eludere il prelievo supplementare, o da trasformatori per far passare come italiano latte prodotto altrove, soprattutto laddove l’origine locale della materia prima è fondamentale per la certificazione di qualità di prodotto DOP e IGP. O dalle autorità pubbliche, per tentare di ottenere a Bruxelles l’assegnazione di una quota nazionale più alta, presentando dati corretti artificialmente al rialzo sulla nostra capacità produttiva. Ipotesi, ma quel che è certo è che una quota di carta è denaro sonante. Se quanto ipotizzato dai Carabinieri e dal GIP fosse confermato, si potrebbe dire che anche AGEA, un po’ come l’ATAC a Roma per lo scandalo dei titoli di viaggio falsi, si è trasformata in una sorta di zecca clandestina.
Quale trucco sarebbe stato usato per gonfiare i dati sulla consistenza zootecnica italiana? Il GIP di Roma, nel chiedere l’apertura di indagini nei confronti dei funzionari AGEA per falso in atto pubblico, afferma che l’età massima produttiva dei capi di bestiame è stata volutamente corretta nei database delle anagrafi bovine. Se prima venivano correttamente calcolati come potenzialmente produttivi animali tra i 24 mesi e i dieci anni di vita, “successivamente venivano modificati i criteri per l’ottenimento dell’algoritmo e del limite massimo di età passiva da 120 mesi dell’animale a 999 mesi (ossia 82 anni di età)! Ciò avvenne per espressa richiesta dei funzionari di AGEA”.
Che cosa è AGEA? L’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura è l’ente statale preposto al coordinamento e al pagamento dei contributi europei agli agricoltori. Essendo l’organismo pagatore ha anche la responsabilità del censimento delle aziende agricole e zootecniche italiane secondo parametri precisi.
Quale sarebbe l’entità della truffa? Per comprendere meglio la proporzione dei valori in gioco torniamo all’indagine dei Carabinieri su cui si fonda l’ordinanza del GIP: “raffrontando il numero capi nelle diverse banche dati con la media produttiva provinciale AIA pur aumentata del 10% in via prudenziale, risulta una differenza produttiva media, rispetto alla produzione totale italiana dichiarata in L1, talmente significativa da mettere in discussione lo stesso splafonamento dello stato italiano e quindi il prelievo supplementare imputato ai produttori a partire dal 1995/96 fino al 2008/09”. Secondo i Carabinieri, quindi, se il dato complessivo sulla produzione avesse nel corso degli anni superato la quota nazionale solo in base alla produzione, dichiarata ma mai avvenuta nella realtà, di vacche che non sono mai esistite, il prelievo supplementare chiesto ai singoli produttori (e dalla maggior parte di essi già pagato) potrebbe non essere dovuto.