Video falso Bossetti

Il video fake che avrebbe dovuto inchiodare Bossetti è a suo modo una prova schiacciante, ma non della colpevolezza dell'imputato.

Come ha per primo segnalato Libero, il colonnello dei Ris che ha candidamente ammesso che il falso è stato "concordato con la procura" e quindi confezionato e diffuso per "esigenze di comunicazione" ha come certificato che in Italia c'è una giustificazione morale all'uso del falso a garanzia del vero e all'abuso del diritto al servizio della giustizia. Il perfetto autoritratto ideologico della giustizia "democratica" e della cultura egemone del processo e della pena.

Una giustizia così, infatti, piace da morire non solo ai magistrati, ma anche ai giornalisti, che salvo rare e meritevoli eccezioni rimangono allineati e coperti, anche per il comprensibile incentivo - in termini di attenzione, di ascolti, di relazioni, di fonti e di reputazione professionale - a schierarsi visibilmente dalla parte delle vittime e degli accusatori, contro i presunti colpevoli e i loro difensori, piuttosto che in quella terza degli osservatori critici e indipendenti del funzionamento del sistema penale.

Lo storytelling giudiziario nei casi di più eclatante rilevanza pubblica è un lavoro di gruppo e in questo l'informazione fa regolarmente gruppo non con la giustizia, ma con l'accusa, ben prima che il processo abbia inizio e che qualunque giudizio, ancorché preliminare, sia stato pronunciato, in quella fase istruttoria che è decisiva per creare il giusto clima in grado di influenzare giudici e opinione pubblica. Basti pensare agli attacchi infamanti delle grandi firme della cronaca giudiziaria italiana ai penalisti romani, che denunciavano le collusioni giornalistiche e i possibili abusi dell'inchiesta show per Mafia Capitale.

Nella sua protesta inviata al procuratore di Bergamo, il Gruppo Cronisti Lombardi definisce "curioso che in questo Paese due istituzioni (la procura e l’arma dei carabinieri) considerino i giornalisti uno strumento per fare pressione a favore della propria tesi". Ma non è per nulla curioso, bensì scontato che gli inquirenti presuppongano nella stampa italiana una disponibilità servente alle ragioni dell'accusa.

Di anomalo, semmai, in questo caso c'è di non avere concordato con la stampa una forma di strumentalizzazione attiva e non puramente passiva, come pacificamente avviene per la marea di veline e intercettazioni che inondano le redazioni e che regalano alle testate notizie gustose e alle procure un indebito vantaggio processuale.

Oltre al fatto in sé, a confermare al di là di ogni ragionevole dubbio la natura probatoria del video fake saranno gli esiti della sua rivelazione. Non succederà nulla. Non cambierà nulla. Un uso troppo spericolato di mezzi sporchi o "non convenzionali" può forse far saltare qualche condanna annunciata - come è avvenuto nel processo contro Knox e Sollecito - ma non a ripensare o a contestare quest'idea combattentistica della giustizia e del processo.

@carmelopalma