In tutte le riforme politicamente sensibili per la delicatezza degli interessi concretamente in gioco e per i contenuti simbolici astrattamente in questione, c'è sempre il rischio che l'interpretazione del presunto sottotesto, per definizione "oscuro", soppianti l'evidenza del testo. Così inevitabilmente è stato anche per la riforma della legge sulla responsabilità civile dei magistrati, approvata ieri in via definitiva dalla Camera, cui il governo e una maggioranza nel complesso abbastanza recalcitrante si è forzosamente rassegnata a seguito di una procedura di infrazione della Commissione Ue e di una sentenza della Corte di Giustizia del Lussemburgo, che ha giudicato incompatibile con il diritto UE la cosiddetta "legge Vassalli" laddove escludeva "la responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell'Unione ... qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o da valutazione di fatti e prove effettuate dall'organo giurisdizionale medesimo".

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Concretamente, la legge approvata ieri estende la responsabilità dello Stato, cioè la risarcibilità dei danni cagionati ai cittadini per effetto di atti o provvedimenti giudiziari posti in essere dai magistrati con dolo o colpa grave, estendendo rispetto alla precedente formulazione la colpa grave anche al "travisamento del fatto e delle prove" e non limitando, come prima teoricamente avveniva, la risarcibilità del danno subito da parte del cittadino alla sussistenza dell'elemento soggettivo della "negligenza inescusabile" da parte del magistrato.

Inoltre, la nuova legge elimina il filtro di ammissibilità dell'azione contro lo Stato, che ha rappresentato in questi anni una barriera sostanzialmente insormontabile per le domande di giustizia dei cittadini.

Se dunque da domani si può immaginare che cambi abbastanza o molto per lo Stato e, auspicabilmente, per i cittadini, non cambia quasi nulla per i magistrati. Ovviamente, i cosiddetti "errori giudiziari", che appartengono alla fisiologia della giustizia e del suo funzionamento, non diventano affatto il cappio a cui impiccare i responsabili di sentenze riformate nei successivi gradi di giudizio.

Inoltre, come ha sottolineato giustamente l'Unione delle Camere Penali, la nuova legge introduce un "sistema a doppio binario nel quale la (nuova) responsabilità dello Stato risponde ai criteri richiesti dalla Corte di Giustizia, mentre l'azione di rivalsa nei confronti del magistrato è rimasta delineata sulla disciplina" previgente. L'azione di rivalsa nei confronti dei magistrati da parte dello Stato condannato a pagare i danni, diventa ora obbligatoria e la sua misura è incrementata da un terzo alla metà di una annualità di stipendio, ma solo nel caso in cui le condotte contestate (la violazione di legge, il travisamento di fatti e prove, ecc. ecc..) siano state determinate da dolo o negligenza inescusabile. Non basta quindi che lo stato sia stato condannato "per colpa di un magistrato", perché il magistrato possa essere, a propria volta, chiamato a rispondere.

Quindi, non solo la nuova legge esclude l'azione diretta contro i magistrati, ma la loro concreta responsabilizzazione in termini civili rimane decisamente inferiore a quella di qualunque funzionario pubblico, per non parlare di qualunque cittadino. Ammesso e non concesso che questa eccezione rispetti la "specificità" della funzione giurisdizionale (non è comunque un'eccezione solo italiana), l'allarme dell'Anm sul possibile utilizzo intimidatorio delle azioni di responsabilità è un modo tutt'altro che originale per ribadire un'idea neppure più corporativa, ma addirittura "separatistica" dell'autonomia e dell' indipendenza dagli interventi del legislatore: dall'autogoverno della magistratura, all'autogoverno della giustizia.

Rimane certo, per l'Anm, una preoccupazione squisitamente sindacale circa i possibili costi assicurativi (non troppo elevati) che i magistrati, alla stregua di molti professionisti, saranno d'ora in avanti chiamati a sostenere. Ma non è questo - diciamo - a mettere in pericolo la Costituzione. Negli altri cittadini rimane invece il dubbio sul concreto funzionamento di una legge affidata a magistrati che la vedono e la vivono come una minaccia o una indebita ingerenza nell'esercizio della giurisdizione. E questo dubbio suscita, anche dal punto di vista costituzionale, allarmi ben più fondati.