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L’attuazione della riforma del catasto prefigurata dalla legge delega n. 23/2014 è come noto stata rinviata in extremis, e vista l’imminente scadenza della delega è difficile prevedere se e come questa sarà attuata. Tuttavia, anche se i decreti delegati slittano, i problemi sul tappeto rimangono, dunque è utile interrogarsi sulla futuribile riforma, partendo proprio da quanto prevede l’art. 2 della L. 23/2014, sulla revisione del catasto dei fabbricati.

Questa disposizione sancisce la revisione del sistema estimativo su tutto il territorio nazionale: per i fabbricati a destinazione abitativa, la legge delega prescrive che la determinazione del “valore normale” dell’immobile avvenga assumendo i valori di mercato medi dell’ultimo triennio. Nel processo estimativo, in luogo del vecchio criterio dei numero dei vani “utili”, dovrebbe essere utilizzato quello della superficie misurata in metri quadri, utilizzando funzioni statistiche in grado di esprimere la relazione tra il valore di mercato, la localizzazione e le caratteristiche edilizie dei beni per ciascun ambito territoriale anche all’interno di uno stesso comune.

In via sussidiaria, laddove i valori patrimoniali non possano essere determinati sulla base di tali funzioni statistiche, si dovrebbe procedere mediante stima diretta, con riferimento ai valori di mercato, oppure ove ciò non sia possibile con il criterio del costo (per i fabbricati strumentali) o quello reddituale (quando la redditività costituisce l’elemento prevalente). Al tempo stesso la delega prevede una modifica nei criteri di determinazione della rendita, sempre sulla base del metro quadrato quale unità di consistenza, e di funzioni statistiche atte a esprimere la relazione tra i redditi da locazione medi, la localizzazione e le caratteristiche edilizie dei beni. Laddove non vi sia un mercato consolidato delle locazioni, dovranno essere applicati ai valori patrimoniali specifici saggi di redditività desumibili dal mercato nell’ultimo triennio. Infine, dovranno essere previsti meccanismi di adeguamento periodico dei valori patrimoniali e delle rendite, in relazione ai mutamenti delle condizioni del mercato di riferimento. In relazione a queste previsioni, si possono a mio avviso formulare le seguenti osservazioni.

Anzitutto, si può notare che la delega innova completamente l’attuale sistema di determinazione catastale, che è fondato sull’attribuzione di una rendita (reddito medio ordinario) in applicazione delle tariffe d’estimo stabilite secondo la legge catastale del 1939. Nel sistema vigente, ciò che viene stabilito catastalmente è la rendita, mentre il valore patrimoniale dell’immobile è desunto applicando al reddito medio ordinario un determinato coefficiente di capitalizzazione (si pensi al valore minimo degli immobili ai fini dell’imposta di registro, pari per i fabbricati al reddito risultante in catasto moltiplicato per cento, o quello ai fini Imu, sempre ottenuto applicando alla rendita un moltiplicatore). Si tratta se vogliamo di una applicazione della teoria secondo cui il valore di un bene produttivo dipende dalla capitalizzazione dei suoi redditi futuri, che si è anche sviluppata sul terreno dell’equivalenza tra imposte sul patrimonio e imposte sui redditi derivanti da quel patrimonio (o meglio su quel capitale produttivo).

Nella legge delega 23/2014, invece, la determinazione del valore patrimoniale dei fabbricati viene sganciata dal meccanismo di capitalizzazione dei redditi (medio ordinari), ed assume rilevanza autonoma, tanto è vero che i valori patrimoniali dovranno essere assunti sulla base dei valori medi di mercato, desunti cioè dalle transazioni effettivamente avvenute nel triennio precedente la stima. Appare qui evidente l’intendimento di adeguare i valori patrimoniali rilevanti per le singole imposte agli effettivi valori di mercato dei beni, poiché in moltissimi casi, con il sistema catastale esistente, i valori patrimoniali risultavano sottostimati, e in altri casi risultano invece eccessivi. Quanto alla rendita media ordinaria, invece, la principale novità consiste nel passaggio dal criterio dei vani utili, a quello della superficie in metri quadri, tenendo conto delle caratteristiche edilizie, della localizzazione e del mercato delle locazioni, sempre con l’obiettivo di adeguare maggiormente alla realtà il reddito presumibilmente ritraibile dai fabbricati.

Lo scoglio su cui sembra tuttavia essersi – almeno per ora – arenata l’attuazione della delega è il requisito della “invarianza del gettito delle singole imposte” (l’imposta di registro, l’Irpef sui redditi di fabbricati, l’IMU), che ovviamente sarebbe pesantemente influenzato dai nuovi valori patrimoniali e dalle nuove rendite, in un frangente in cui il peso della tassazione sugli immobili è triplicato in pochi anni. Ma come sarebbe ottenuta l’invarianza complessiva del gettito, in un contesto di generalizzata espansione delle basi imponibili? La risposta è in apparenza molto semplice: la delega prevede infatti la contestuale modifica di aliquote, deduzioni, detrazioni e franchigie, onde evitare un aggravio fiscale. Insomma, se le basi imponibili crescono, onde garantire l’invarianza del gettito le aliquote devono scendere, e le deduzioni aumentare.

E tuttavia l’idea che si possano bilanciare le maggiori basi imponibili con minori aliquote e maggiori deduzioni sembra all’atto pratico difficilmente attuabile. Anzitutto, se l’invarianza del gettito è riferita alle singole imposte il cui presupposto e base imponibile sono influenzati dalle stime di valori patrimoniali e rendite, non è chiaro se tale invarianza debba sussistere solo a livello nazionale od anche a livello locale. Dichiarazioni di esponenti del Governo lasciano intendere che tale invarianza sarebbe stata sancita a livello locale.

Quel che il legislatore non sembra però non aver considerato è che in questo modo le imposte che hanno quale base imponibile il valore patrimoniale o locativo dei fabbricati finirebbero per trasformarsi in imposte di ripartizione, un po’ com’era la prima imposta di ricchezza mobile voluta da Quintino Sella e Marco Minghetti, nella tassazione “per contingente”. Nelle imposte di ripartizione, veniva dapprima fissato, a livello nazionale, il gettito da riscuotere, e poi questo era ripartito sulle singole comunità territoriali, all’interno delle quali l’effettiva incidenza del tributo sui singoli dipendeva da particolari parametri (il reddito fondiario, la popolazione, etc.).

Orbene, la riforma prefigurata dalla L. 23/2014 finirebbe per reintrodurre surrettiziamente nel nostro ordinamento delle vere e proprie imposte di ripartizione: proprio come nelle imposte di contingente, aliquote e deduzioni non potrebbero essere fissate a priori, secondo regole generali e astratte, poiché a guidare l’intero processo sarebbe l’ammontare (già conosciuto) del gettito. Se le nuove basi imponibili devono accompagnarsi a invarianza del gettito, ciò significa che – a parità di gettito complessivo, sia pure a livello locale – alcuni pagherebbero di più, altri pagherebbero di meno, in funzione di un parametro rappresentato appunto dai valori patrimoniali e dalle nuove rendite. Ma per garantire l’invarianza del gettito occorrerebbe una imposizione personalizzata, cioè aliquote fissate non soltanto comune per comune, ma immobile per immobile. E lo stesso dicasi per deduzioni, detrazioni e franchigie. E non si comprende come la personalizzazione delle aliquote potrebbe aver luogo in relazione ad imposte – quali il registro o l’Irpef nazionale – su cui gli enti locali non hanno possibilità di intervento. Insomma, l’attuazione della riforma del catasto come delineata nei suoi principi generali dalla delega del 2014 porterebbe ad una situazione caotica e ingestibile

Possibile che nessuno se ne sia accorto? Spero tanto di sbagliarmi, e che qualcuno mi spieghi perché.