Coltivare marijuana è reato? Forse no
Diritto e libertà
Novità sul fronte antiproibizionista? Pare di sì, a tutti i livelli. L'articolo in cui esaminavamo il caso del Colorado, con poche speranze di poterne seguire l'esempio, risale a poco più di un mese fa, ma da allora ad oggi molte cose sono successe, molte iniziative sono state avviate e, sia in Italia che nel mondo, la legalizzazione della marijuana sembra una prospettiva più concreta.
Decisivo, nel quadro globale, è stato il cambio di orientamento degli Stati Uniti, che, dopo aver promosso per quarant'anni, nell'ONU e fuori, una fallimentare politica di "guerra alla droga", sembrano essersi finalmente convinti a provare un altro approccio.
A cavallo tra febbraio e marzo, gli Stati di Alaska e District of Columbia (il minuscolo Stato in cui è situata la capitale degli USA) hanno seguito Colorado e Washington sulla strada della legalizzazione della cannabis a uso ricreativo: sebbene molto rimanga da fare, e sebbene la marijuana, a livello federale, si trovi ancora nell'elenco delle droghe proibite, è evidente che il proibizionismo, negli Stati Uniti, non è più considerato l'unico approccio possibile alla questione. Ad oggi, solo in ventitré Stati la marijuana è esplicitamente proibita, mentre in tutti gli altri ne è stato legalizzato almeno l'uso medico, e in quattro sono perfettamente legali il possesso e la vendita anche a scopo non medico, sia pur con alcune restrizioni di età e di quantità.
Sulla scia di questo cambio di orientamento, anche da noi l'antiproibizionismo sembra riprendere vigore: mentre la Direzione Nazionale Antimafia certifica il fallimento della "guerra alla droga" e il senatore Benedetto Della Vedova annuncia la costituzione di un Intergruppo parlamentare per la legalizzazione e la depenalizzazione della marijuana, c'è anche chi porta avanti le proprie battaglie in sede legale, evidenziando le incongruenze giuridiche ad oggi esistenti sul tema, soprattutto per quanto riguarda la coltivazione.
Gli avvocati Claudio Miglio e Lorenzo Simonetti, infatti, hanno notato come ad oggi, in Italia, mentre (grazie al referendum radicale del 1993) il possesso di cannabis per uso personale non costituisce reato penale, la coltivazione della pianta sfugga a questa logica, poiché la legge riformata a seguito del referendum non la menziona. Il paradosso è che chi si approvvigiona di droghe leggere dal mercato illegale, purché si mantenga nei limiti di una quantità proporzionata ad un uso personale, è punito molto meno severamente di chi invece, magari proprio per stare lontano da un mercato che ad oggi è "appaltato" alla malavita, coltiva la cannabis per sé. Per quello che, nei fatti, è un comportamento analogo e teso allo stesso scopo, l'uno al massimo può ricevere una sanzione amministrativa, l'altro deve affrontare un processo penale e rischia - molto concretamente - il carcere.
Nel 2008 infatti la Corte di Cassazione a sezioni unite, con una sentenza che ha fatto giurisprudenza, ha stabilito che la coltivazione di marijuana, per quanto limitata e destinata all'uso personale, è da considerarsi sempre e comunque reato. Tale sentenza rappresenta, ad oggi, un parere definitivo della Corte sull'argomento, in contrasto con alcune sentenze precedenti che invece, interpretando estensivamente la normativa sull'uso personale, avevano fatto sperare in un'apertura alla depenalizzazione.
Secondo Miglio e Simonetti, che hanno studiato tutta la giurisprudenza in materia, la sentenza della Cassazione presenta alcuni aspetti contraddittori e addirittura contravverrebbe ai princìpi fondamentali di autodeterminazione, offensività e uguaglianza. Un loro assistito, condannato dal Tribunale di Brescia per il possesso di alcune piante di marijuana, ha portato, grazie ai due avvocati, il suo caso davanti alla Corte d'Appello della stessa città, che il 10 marzo scorso ha rimesso alla Corte Costituzionale gli atti del processo, auspicando una revisione della norma.
La decisione della Consulta sull'argomento avrà tempi abbastanza lunghi, ma già il fatto che i giudici bresciani abbiano, nella sostanza, accolto il punto di vista di Miglio e Simonetti sugli errori insiti nell'attuale giurisprudenza, tesa a "separare" l'uso personale di cannabis dalla coltivazione, e a ritenere quest'ultima sempre e comunque reato, è un elemento che fa intravedere un'apertura, almeno a livello legale, in quel fronte del proibizionismo che fino a qualche mese fa sembrava più compatto che mai.
Quell' "antiproibizionismo in giacca e cravatta", lontano dalle ideologie e forte dei dati oggettivi, che solo un anno fa appariva pressoché assente oggi sembra consolidarsi sempre di più e levare la sua voce sempre più chiaramente: che la legalizzazione della marijuana sia oggi molto più vicina o che la strada sia ancora lunghissima, il dibattito politico non può che trarre giovamento da un approccio pragmatico come questo.