Benedetto XVI grande
 
Nel testo pubblicato in questi giorni e destinato ad una rivista bavarese, Joseph Ratzinger affronta un tema a lui caro: la fede in Dio e nella concretezza di Cristo che affratella gli uomini è fonte di “desacralizzazione” di un’altra fede, quella nell’autonomia del mondo e nella autolegittimazione della modernitàIl richiamo critico al ’68 va inteso, per ciò, in questo senso: la messa in discussione di un assioma ormai popolare, la contestazione della “nuova normalità” del mondo e, all’interno della Chiesa, di una “nuova Cattolicità” che si affranca semplicisticamente dal passato e dalla Tradizione finendo per legittimare non tanto il nichilismo, il vuoto dello Spirito, ma una orgogliosa trasvalutazione dei valori che pone una scala gerarchica escludente.
 
E non importa che la libertà, anche quella sessuale, sia posta festosamente in cima alla scala, conta - nell’analisi del Papa emerito - che l’assolutizzazione dell’esito secolare porta alla svalutazione di tutto il resto, alla legittimazione del principio pragmatistico: il fine – la c.d. liberazione – giustifica i mezzi, quali, ad esempio, l’esercizio di potere sull’altro strumentale all’edificazione della Società perfetta.
 
Non sorprende, quindi, che Ratzinger, in questo testo, si sottragga al ragionamento “per valori” richiamando spesso, invece, il mistero di un Bene e di un Male che – fuori da ogni punto di posizione e di attacco – possono essere davvero intesi e distinti solo nell’ambito di una fede fondata non su rigidi precetti e l’aderenza cieca ad usanze condivise ma sull’incontro personale con Gesù, segno di contraddizione.
 
Ratzinger riconosce, infatti, sia la crisi del diritto naturale ipostatizzato in una fissità atemporale, sia l’impossibilità di tradurre dal Testo Biblico norme analitiche, ed è deciso nell’affermare che il Bene – estraneo alla disputa ideologica e al conflitto tra “partiti”  – ha a che fare, soprattutto, con la sconfitta mondana del Martire, con un caso limite dunque, con una eccezione che scardina – nella testimonianza pubblica -  il valore supremo della propria incolumità fisica per l’affermazione della fede paradossale in un approdo diverso. Una confessione inattuale, quindi, che sconfessa il mondo e i suoi ordinamenti dominanti, anche quelli odierni strutturati sull’eclissi del Sacro e sulla piatta immanentizzazione di ogni speranza.
 
La crisi normativa della tradizionale teologia morale cattolica, ci dice Benedetto XVI, può condurre alla legittimazione di altri normativismi non meno vincolanti, come quelli che hanno con successo affermato all’interno della Chiesa - dopo il '68 - un  post conciliarismo, sociologico e materialista, che ha ammesso tutto e il contrario di tutto, anche la formazione influente (Ratzinger parla a tal proposito dell’esperienza nei seminari) di una élite evidentemente interessata all’affermazione di propri interessi particolari.
 
Ovviamente il Papa dimissionario, nell’analizzare l’affermazione moderna all’interno della Chiesa di morali “di potere”, di successo e popolari, usa il ’68 come fattispecie esemplare ma non esclusiva ed in effetti, generalizzando l’approccio, afferma che è in questo senso giusto espungere dall’ambito delle decisioni “infallibili” del Magistero della Chiesa le questioni della morale e ciò proprio per attestare una verità difficile e davvero liberante: la concretezza della fede e della morale si basa su “Gesù Cristo che ha vissuto come un essere umano” ma lungo una strada che ha contraddetto – e contraddice – i poteri di questo mondo che, oggi, vorrebbero sostituire – ecco la critica dell’Emerito al radicalismo – l’esperienza quotidiana delle nostre miserie e l’abisso oscuro delle nostre scelte con il mito consolatorio e deresponsabilizzante della bontà intrinseca dell’uomo impegnato nell’affermazione “sacra” della propria libertà.
 
In tal senso, lo stesso concetto di Tradizione che Ratzinger usa non ha nulla a che fare con la vuota forma di una imposizione “legale” ma si sostanzia nella traduzione contemporanea della presenza assurda di una Chiesa che non può essere creata come nuova, né surrogata dalle verità contemporanee e che è partecipe dei destini del mondo pur essendo estranea ai fini mondani. Una chiesa effettivamente mondana, infatti, sia quella della élite clericale (omosessuale o meno) o quella politicizzata della teologia marxista della liberazione, sarebbe una Chiesa senza Dio, preda della affermazione non del Bene in Cristo ma di ciò che è più potente, di ciò che si impone nell’ambito storico.
 
Da ciò emerge che per Ratzinger il Bene, la verità, non è mai forza ma solo Amore che si afferma nella coscienza con la scelta per la fede. Per il Papa tedesco la “morte di Dio”, quindi, conduce insieme all’annichilimento della facoltà di selezione anche alla fine della libertà di coscienza, perché ciò che muore davvero è la misura delle distinzioni che impongono la decisione, la presa di posizione.  E di fronte al baratro della facoltà di scelta, del dilemma personale tra il Bene e il Male, la Società idolatrica offre due opzioni, due “non scelte”: l’indifferentismo acritico o l’asservimento cieco al valore idolatrico sostitutivo.
 
Detto questo, le note di Ratzinger appaiono molto di più che una critica al ’68 come generatore di pedofilia ed immoralità, anche perché il Papa si guarda bene dall’affermare che la pedofilia nasce con il ’68 ma precisa, con più complessità, che la crisi normativa della morale cattolica, della sua capacità di informare di sé la Società, ha portato insieme a maggiore libertà (non di scelta) anche alla legittimazione di un atteggiamento “garantistico” verso i carnefici “giustificati” dall’apocalissi stessa della responsabilità morale, ad una culturalizzazione dell’abiezione pedofila che, evidentemente, ha riguardato certi ambienti – non solo ecclesiastici – che hanno rivestito ruoli di potere nella Chiesa e nel mondo, radicalizzando la teologia della assenza di Dio fino ad un ateismo sostanziale che abolisce la categoria stessa di Male assoluto.
 
Carmelo Palma su Strade ha ben affermato che il triste fenomeno della pedofilia ecclesiastica è assolutamente precedente al ’68 e che, anzi, la personalizzazione della Morale che si è accompagnata alla giusta critica alle imposizioni d’Autorità ha aiutato a chiarire – riconoscendo valore alla soggettività piena dei bambini – che ciò che veniva vissuto di nascosto ed accettato come naturale – pensiamo all’abuso sessuale e al lavoro minorile – era ed è, invece, crimine ed offesa alla dignità della Persona.

 

Ed è anche vero, però, che gli anticorpi a tali misfatti “assoluti” possono e debbono prodursi (ed il processo è evidentemente in atto) grazie anche ad una Istituzione che non smarrisce, nell’incredulità e nel mito di una rinascita modernista, il senso e una direzione che è “altra” rispetto alle acquisizioni contingenti, anche di quelle verità semplicistiche e manichee che vorrebbero persuaderci dell’inutilità di una Chiesa di Dio fatta solo di “erbacce cattive” e della necessità storica di una c.d. Chiesa migliore, autolegittimata e totalmente immanente, facile approdo di chi non ha la forza-impotente ed il coraggio-fede di opporsi allo status quo, al Potere dei nuovi prìncipi del mondo.