Perché la bufala dei Savi di Sion e quella sul Franco Cfa si somigliano molto
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Il senatore grillino Lannutti ieri ha riesumato il feticcio antisemita dei Protocolli dei Savi di Sion – feticcio mai completamente sepolto, ma nascosto sotto il tappeto della cattiva coscienza europea – ed è stato costretto a una precipitosa marcia indietro. La denuncia dell’ex capopopolo consumerista traghettato a Palazzo Madama era la solita. Dietro il sistema bancario internazionale c’è un’élite ebraica che domina il mondo attraverso il controllo del denaro.
Nelle stesse ore il suo capo politico Di Maio rilanciava l’accusa di Di Battista contro il franco Cfa come perdurante strumento di dominazione coloniale francese sugli stati africani e come causa diretta di impoverimento e dunque di immigrazione. Lungi dal rinnegare l’accusa, dopo le proteste del governo di Parigi Di Maio l’ha confermata come una verità scomoda e, malgrado ovviamente l’evidenza stia da tutt’altra parte e confermi che, come minimo, non esiste alcuna correlazione fra Franco Fca e gommoni, visto che gli stati che adottano questa valuta coloniale non sono certo ai primi posti della classifica degli sbarchi in Italia.
L’accusa di Lannutti e quella di Di Maio sono in realtà la stessa cosa, l’espressione dello stesso pregiudizio, la manifestazione della stessa sindrome che individua nel denaro e più ancora nella moneta non un istituto necessario all’ordine degli scambi e più in generale alla vita civile, ma uno strumento di dominio.
A fare del denaro e della moneta un pericolo diabolico, accanto a un pregiudizio culturale legato anche, ma non solo, ad ascendenze religiose, sono due fattori comuni in ogni consesso umano: una generalizzata ignoranza di fenomeni complessi e una invidia sociale “naturale” nei confronti del benessere altrui. Si badi: l’ignoranza non è “degli ignoranti”, perché tutti gli uomini – anche gli scienziati e i premi Nobel - lo sono rispetto a qualunque sapere esterno al loro stretto ambito disciplinare. L’invidia sociale non è una perversione morale, ma un sentimento spontaneo, comune a tutti gli uomini, che la politica responsabile imbriglia in un super-ego collettivo, come fa della altrettanto naturale inclinazione umana alla violenza e alla sopraffazione. La politica non guarisce l'ignoranza, né raddrizza il legno storto della natura umana, ma dovrebbe insegnare a diffidarne.
Il complottismo non è quindi l’oppio degli ignoranti e degli invidiosi, ma la trasformazione dell’ignoranza e dell’invidia in ideologia e identità politica, è la sovversione della regola fondamentale di qualunque politica, di qualunque tipo e di qualunque tempo; che è l’emancipazione della pubblica virtù dal vizio privato, della grandezza delle istituzioni dalla piccolezza degli uomini, della “sacralità” dei valori dall’empietà dei sentimenti.
Il complottismo, da questo punto di vista, non è l’umanizzazione della politica, ma la disumanizzazione dell’agorà della polis trasformata in una piazza senza luogo e senza tempo, senza geografia e senza storia e in un cumulo di macerie morali e materiali, in cui chiunque si sente legittimato moralmente alle cattive parole e alle cattive azioni, per esigenza di difesa e perfino di “giustizia”. In questa piazza, in cui chiunque se potesse si sentirebbe legittimato a rubare a tutti gli altri – che tanto sono, per definizione, “tutti ladri” – il denaro è lo scandalo perché è un oggetto incomprensibile e perché è il miraggio irraggiungibile, a cui si legano troppi affanni.