La democrazia del narcisismo. Intervista a Giovanni Orsina
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Nel 2013 in un libro di successo Giovanni Orsina analizzava in maniera laica il berlusconismo - un’emulsione di populismo e liberalismo - inquadrandolo nel solco più ampio e lungo della storia d’Italia e sganciandolo dunque dalle contingenze più o meno misere dell’attualità e della cronaca politica.
Cinque anni dopo, sempre per l'editore Marsilio, ne La democrazia del narcisismo, lo storico, professore ordinario alla Luiss, affronta il tema dell’antipolitica, intesa in fondo come crisi del politico più che della politica, colpito nei suoi cinque aspetti fondamentali: il potere, l'identità, il tempo, la ragione e il conflitto.
Dopo aver ripercorso le riflessioni sulla democrazia di autori come Tocqueville, Ortega y Gasset e Huizinga, Orsina intravede nel narcisismo quell'insieme di tratti psicologici, sempre più marcato dagli anni Settanta nelle società occidentali, che impone alla politica come "scopo prioritario - quando non esclusivo - la salvaguardia e l'ampliamento, tendenti alla perfezione degli spazi di autodeterminazione soggettiva".
Professor Orsina, nel suo libro lei traccia la figura socio-psico-politica del narcisista, un fattore di spinta nell’evoluzione della domanda politica. Quanto e come questo ha facilitato l’avanzata di forze politiche cosiddette populiste?
Molto, credo. Sono convinto che i nuovi partiti ostili all’establishment siano sospinti anche dall'impazienza, l'indignazione, l'ansia di perfezione, la perdita di contatto con la realtà, il desiderio di scaricare le frustrazioni su di un capro espiatorio che sono diffusi fra gli elettori: tutti elementi che possono essere ricondotti alla degenerazione dell’individuo democratico in narcisista. Attenzione, però: questo non vuol dire che i narcisisti “cattivi" votino per i populisti, e i non-narcisisti “buoni" per i non-populisti. La crisi della democrazia è generalizzata, i tratti narcisisti sono un elemento diffuso e trasversale, l’establishment politico negli ultimi decenni li ha alimentati potentemente, e se n’è alimentato a sua volta. I nuovi partiti sono figli di questa crisi, ma sono anche un tentativo confuso, e destinato con ogni probabilità al fallimento, di risolverla.
Il narcisismo spesso fa a pugni con il realismo. Come le nuove élite potranno governare, quando non soddisfare, le sue attese e frustrazioni?
Sul medio-lungo periodo, secondo me, non potranno. Le frustrazioni della nostra epoca sono generate (anche) dall’incapacità della politica di rispondere alle richieste dei cittadini. Cittadini che non sono però disposti a dare alla politica le risorse di cui quella ha bisogno per rispondere alle loro richieste. Si genera così un circolo vizioso nel quale la politica perde sempre più di prestigio e credibilità, e diventa infine un semplice capro espiatorio: l’unica sua funzione è consentire ai cittadini di scaricare il proprio risentimento. Questo risentimento i cittadini lo scaricano cacciando via chi ha governato – ma questa, ovviamente, non è una soluzione, perché il problema non è la classe politica: è l’intero meccanismo che non funziona più. Sostituire chi governa quindi è un palliativo, spegne la rabbia per un po’ (e infatti un sondaggio ci dice che subito dopo il voto del 4 marzo scorso il risentimento in Italia è sceso notevolmente). Ma nel giro di pochi anni, o magari pochi mesi (basti pensare a Renzi), i nuovi governanti sono fatalmente destinati a diventare il nuovo capro espiatorio, e il circolo vizioso ad avvitarsi sempre di più.
Non sempre il narcisista è pronto ad un impegno attivo nella politica. Non crede che a lungo andare questo scollamento porti a una facile soluzione “exit” più che a una persistente azione “voice”, per usare le categorie di Hirschman?
Giunti in fondo al circolo vizioso, è assolutamente possibile che una parte importante dell’elettorato scelga di uscire dal gioco. Immaginiamo che nel giro di pochi mesi in Italia il governo gialloverde fallisca – un’ipotesi tutt’altro che improbabile –, perché incapace di superare i vincoli economici, giuridici, tecnocratici, europei, internazionali entro i quali si muove. Che cosa ne dedurranno i moltissimi italiani che hanno votato Lega o 5 Stelle? Che le elezioni non servono assolutamente a nulla. Potrebbero allora decidere di votare per partiti ancora più radicali. Oppure, più probabilmente, abbandonare del tutto la vita pubblica.
Nell’ultimo capitolo del suo libro, lei studia Tangentopoli analizzando i comportamenti di massa e della massa nel solco tracciato da Elias Canetti. Dal 1994, lei nota, si forma una massa doppia che placa “tanto l’insoddisfazione quanto la pulsione al rovesciamento”. 24 anni dopo, siamo di fronte a una situazione simile o è sufficiente la dicotomia popolo-elite a spiegare la presenza di una sola massa internamente indistinta?
Oggi mi pare ci sia una sola massa di rovesciamento, desiderosa di far fuori le elite politiche. Le categorie di Elias Canetti, fra l’altro, spiegano bene la figura di Beppe Grillo. Che non è un leader politico, ma – appunto – un “cristallo di massa”: non guida, ma svolge la funzione di catalizzatore della rabbia e “addensatore" degli arrabbiati.
Cinque anni fa lei ha analizzato in profondità il berlusconismo. È esistito un narcisismo anche nell’offerta politica e nella costruzione della classe dirigente?
Direi proprio di sì. Se la politica può sempre di meno, a chi fa politica si richiedono sempre meno concretezza, responsabilità, capacità amministrative. Quel che si richiede sempre di più, invece, è di saper stare sul palcoscenico. Non è solo che gli aspetti spettacolari della politica sono diventati sempre più importanti: è che sono rimasti soltanto quelli. Ora, se la politica è per lo più spettacolo, attirerà persone che hanno soprattutto capacità istrioniche. E fra il desiderio di stare sul palcoscenico e il narcisismo il rapporto, com’è ovvio, è molto stretto. Direi quindi che la politica del XXI secolo attrae soprattutto narcisisti, porta soprattutto narcisisti al successo, e, in questo processo, incrementa ulteriormente il loro narcisismo. Fino a far loro perdere completamente il contatto con la realtà.