I Drughi islamisti. Un’Arancia Meccanica dove Beethoven è la religione
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A Clockwork Orange, di Anthony Burgess, è uno dei romanzi che maggiormente ha segnato l’immaginario della generazione nata nel dopoguerra. Esso rappresenta l’idea che la capacità di commettere violenza estrema, presente in via potenziale all’interno del tessuto connettivo della persona umana, possa svilupparsi liberamente in presenza di condizioni esistenziali quali il disprezzo per gli altri, l’asocialità, la non progettualità, il vuoto dei valori.
L’ultraviolenza non è necessariamente figlia dell’ignoranza; anzi, può abbeverarsi di musica “colta”, interagire con l’estetica e sinanche con la trascendenza, perché in fondo questa è solo il sottofondo di un’espressione incondizionata di volontà distruttiva.
Non è difficile scorgere molte similitudini tra l’Arancia Meccanica di Burgess, straordinariamente esplicitata di carica visiva e visionaria da Stanley Kubrick, ed il terrorismo che continua a flagellare l’Europa e a mietere la sua scia di sangue. Un terrorismo che non ha nulla di diverso dall’ultraviolenza di Alex e dei suoi Drughi; esattamente come loro, i giovani nichilisti distruttivi di Francia, di Germania, del Belgio e di chissà quanti altri paesi, non hanno alcun rispetto per la dignità dell’umano e nessuna capacità di progettualità e di socializzazione.
Essi non vogliono nessuna rivoluzione se non il sovvertimento del principio basilare del rispetto per la dignità e la sicurezza dell’altro, vogliono vedere la sofferenza, la morte, l’annientamento per un puro gusto di compiacimento distruttivo. I nomi arabi che condividono sono una sorta di divisa – come la divisa bianca dei Drughi – che colloca l’orizzonte spaziotemporale del loro nichilismo entro la ghettizzazione subita (che però da sola non genera la violenza), senza in fondo essere un elemento dotato di rilevanza peculiare. Molti si vestono di bianco senza essere Drughi, ma nello stesso tempo il fatto che i Drughi si vestano tutti di bianco dà loro una sicurezza e una riconoscibilità che è quella dell’appartenente al branco.
La religione, per questi nuovi Drughi, è esattamente ciò che Beethoven è per Alex: un sottofondo, una carica emotiva che nasce dalla libera ed anarchica reinterpretazione del testo sacro in chiave nichilista. Del resto, le centinaia di pronunce giuridiche contro il terrorismo e contro il Daesh emesse dalle più alte cariche islamiche negli ultimi anni, il fatto che molti musulmani muoiano negli attacchi terroristici e la considerazione che la strage di Rouen si pone apertamente contro il diritto islamico dovrebbero segnare una cesura chiara nel rapporto religione – terrorismo.
Abbiamo bisogno di altre prese di distanze pubbliche oltre a quelle che troviamo sui siti internet, sulle bacheche facebook, nei libri, nelle fatwa, nelle vite quotidiane di operai nordafricani che si spaccano la schiena (spesso nell’indifferenza o addirittura nell’ostilità sociale della maggioranza indigena) solo per dare un futuro migliore alla propria famiglia?
Eppure non è così.
La musica di Beethoven di questi nuovi Drughi viaggia sulle note di predicatori ai margini, di borderline che non possono essere considerati neppure parte della Umma tanto la loro vision è scombinata ed antitetica rispetto al diritto islamico. Eppure le note di questi predicatori – veicolate da chi? Prodotte da chi? Pagate da chi? Queste sarebbero le vere domande da farsi – sono note perfettamente consone con l’ultraviolenza distruttiva, perché la accompagnano e la fomentano fuori da un piano organico, entro la pura cornice del godimento per la distruzione.
E qui c’è l’ulteriore beffa: perché l’azione ultraviolenta dei nuovi Drughi non crea solo vittime fisiche, ma anche capri espiatori all’interno delle comunità islamiche. In questo modo il nichilismo distruttivo dei terroristi non solo si abbevera di sangue fresco, ma esige un altro tributo in termini di sofferenza e discriminazione, cui ormai diversi musulmani sono o si sentono soggetti in forza della folle teoria dello scontro tra civiltà.
A clockwork orange pone però altre questioni.
La teoria di Burgess, ripresa con forza da Kubrick, è nota: se la risposta del potere costituito nei confronti dell’ultraviolento è anch’essa violenta, il rischio è che il violento il-legale (A-lex) non riesca più a comprendere che differenza esista tra lo stato di natura (in cui egli ha operato) e lo stato di diritto. Per cui, la forza distruttiva della sua violenza può paradossalmente diventare una forza distruttiva a servizio del potere costituito.
Il rischio del “trattamento Ludovico” che alcuni vorrebbero riservare non solo ai terroristi ma all’Islam nella sua totalità è che tra barzellette trumpiane (divieto di entrata dei musulmani negli States) e meno facete trovate neogiurisdizionaliste (porre l’Islam sotto il controllo dello Stato, tentazione piuttosto forte anche in Italia al momento presente) la violenza-di-Stato si manifesti contro la quasi totalità dei musulmani, che costituiscono generalmente, ed in particolar modo in Europa, comunità pacifiche ed impegnate nella custodia dei valori costituzionali e del dialogo interreligioso. Una violenza diretta a creare lo stereotipo ed il pregiudizio di Stato dell’equazione Islam=terrorismo, in fondo benedetta dai nuovi Drughi che così sarebbero sempre più liberi di diventare il punto di riferimento della reinterpretazione nichilista del testo sacro nel modo più consono all’esercizio dell’ultraviolenza.
Solo lo Stato di diritto, laico e garante della libertà religiosa in condizioni di uguaglianza, con la sua capacità di coniugare la tutela dei diritti umani, la prevenzione dei crimini e la repressione della violenza può essere un baluardo contro i nuovi Drughi del terrorismo nichilista sedicente islamico. A-lex (si chiami Mohammed o Renatino poco importa) altro non è che la personificazione del caos violento primordiale e della follia omicida impersonata da Caino: ma il sigillo posto da Dio sull’autore di questa violenza indica che è solo la Lex – la forza legittima esercitata nel rispetto dei diritti fondamentali – a poter fermare A-lex.
E c’è di più: solo una lotta culturale seria, decisa, profonda, diretta a mostrare che la vita vale la pena di essere vissuta può disinnescare il nichilismo distruttivo. Non sono solo i musulmani a dover scendere in piazza, come vorrebbe Tahar Ben Jelloun: è ciascuno di noi a dover “scendere in piazza” mostrando i suoi valori, la sua storia, le ragioni che danno un senso al suo esistere. Mostrando, in alter parole, quello che soddisfa il suo bisogno umano, quella risposta all’altezza delle domande esistenziali che tutti abbiamo dentro e che la società post-industriale tende in maniera disperata e disperante a nascondere.
Chi non denuncia, non allontana, non rinnega questi nuovi Drughi è complice. La legge e la testimonianza personale non valgono nulla se non incontrano un’opposizione ferma, risoluta, efficace: che si traduce anche nella delazione, nella presa di distanze effettiva, nella “scomunica” da quella comunità di credenti che è legata dalla comune appartenenza.
Ma anche chi massifica, chi è pronto a partire lancia in resta (o meglio a far partire altri lancia in resta) verso una crociata indefinita contro l’universo mondo islamico rende davvero un pessimo servizio alla causa.