totti sensi

Ci sono alcuni numeri, essenziali, che rendono la misura di cosa sia, a Roma e per la Roma, Francesco Totti, e non sono statistiche di gioco, ma riguardano gli anni e le generazioni.

Nella vita di un ragazzo c’è un periodo in cui si comincia a seguire un po’ più seriamente il calcio, a capire di gioco e di schemi, a ricordarsi i nomi dei giocatori, ad andare oltre l’epoca infantile del “di che squadra sei?”. Se avevate dodici anni all’epoca dell’esordio di Francesco Totti in serie A (1993), oggi ne avete 35. Avete l’età del ministro Boschi. Non siete più certo dei ragazzini, state uscendo dalla categoria statistica dei “giovani”, fate parte di quella generazione che comincia a fare seriamente i conti con i costi umani e materiali della precarietà del lavoro in un’età in cui bisognerebbe pensare alla stabilità economica, probabilmente avete figli, magari nemmeno piccolissimi. E se avete continuato a seguire il calcio, dai vostri dodici anni in poi, avete conosciuto solo un tipo di Roma, quella con Francesco Totti.

Io i miei dodici anni (1983) me li ricordo, perché quell’anno la Roma vinse il suo secondo scudetto. Se avevate dodici anni il giorno in cui la Roma ha vinto il terzo, di scudetto, oggi avete 27 anni. Di quella formazione titolare non c’è più un solo giocatore ancora in attività, tranne Francesco Totti che all’epoca non era più un esordiente, ma un giovane calciatore nel fiore della carriera, capitano e leader incontrastato, e Walter Samuel, difensore centrale, di due anni più giovane, oggi al Basilea.

Chi, come me, ricorda anche la Roma precedente a quella di Francesco Totti, ha già, come usa dire, “una certa età”, e le immagini di quei giocatori - Conti, Pruzzo, Falcao, Voeller, Giannini - non sono certo in bianco e nero, ma sono senz’altro molto scolorite e ingiallite. Peraltro, quando Totti ha esordito in serie A Giannini c’era, e ci sarebbe stato ancora per alcuni anni. Rudi Voeller no, se ne era andato via l’anno prima verso Marsiglia.

Non solo. Tranne i primissimi anni dopo l’esordio - il contagocce di Mazzone e il biennio difficile con Carlos Bianchi - la Roma con Totti in campo è sempre stata Totti-dipendente. Una cosa che non ha solo a che fare con l’immensa qualità di Totti - qualsiasi fuoriclasse è difficile da sostituire - quanto con l’unicità delle sue caratteristiche e del suo modo di giocare. Non esistono vice -Totti, anche a volerne cercare. Fino allo scorso anno, chiunque ha allenato la Roma doveva avere ben chiaro che durante le partite senza Totti la squadra non avrebbe avuto solo un rendimento inferiore, cosa comprensibile, ma doveva sostanzialmente imparare a giocare in un altro modo, più convenzionale.

Un problema che negli ultimi anni è stato sempre più evidente, come all’epoca del grave infortunio del 2006: man mano che gli anni passavano, i minuti nelle gambe di Totti diminuivano, la Roma doveva trovare equilibri diversi senza di lui, e raramente ci riusciva. Anche l’anno scorso, non certo una stagione esaltante né per la Roma né per Totti, il rendimento della Roma con Totti in campo era superiore a quello senza Totti. Un titolare insostituibile a scartamento ridotto: in una squadra di calcio, l’inizio di un problema. A Roma, il preludio per una catastrofe.

Una catastrofe perché la fine della carriera di Totti, qualsiasi saranno le forme che assumerà, sarà un cambio di pelle molto doloroso, che prescinderà anche dalla stessa volontà del giocatore di resistere ai propri limiti e al tempo che passa. E’ qualcosa che ha più a che fare con un’abdicazione, o una deposizione, che con la sostituzione o la fine della carriera di un giocatore importante. Possiamo discutere per mesi sull’anomalia dell’ambiente “Roma” - ma anche Maldini se ne è andato tra i fischi dei suoi tifosi - e del carattere decisamente non sempre facile di Totti - ma anche il ben più “signore” Del Piero ha inchiodato la società a una estenuante trattativa di fine carriera, fino a imporre alla stessa società l’onere di una decisione difficile e impopolare, con strascichi polemici ancora non ripianati.

No, non c’è nulla di tanto anomalo, in questa storia, se non la posizione di dirigente de facto che la società, quella di prima più che altro, ha lasciato che Francesco Totti occupasse negli anni, ben oltre le normali gerarchie di squadra e spogliatoio. Totti è stato usato come uomo immagine, come imbonitore dei tifosi più o meno organizzati, la sua faccia e il suo carisma sono stati spesso usati, in maniera smaccatamente paracula, per coprire le magagne di una società in forti difficoltà economiche e strategiche, e lui non si è mai tirato indietro.

Totti - non solo lui, ma certo lui più di altri - è diventato giorno dopo giorno un uomo di potere. Un potere ormai pluridecennale, giocato di sponda tra Trigoria, la curva, le radio e i giornali, un potere non necessariamente abusato, spesso usato in modo neanche troppo consapevole, ma che ora mollare è molto complicato, e sarà inevitabilmente traumatico. Anche disegnare per lui un ruolo da dirigente non è una cosa troppo facile, dato che sarebbe per forza di cose un ruolo da comprimario (vice Spalletti? vice Sabatini? vice Pallotta?) quando fino a oggi poteva godere di una leadership carismatica sostanzialmente assoluta in un mondo del quale, e qui sta il paradosso, la nuova dirigenza americana della Roma non fa parte e che guarda a quella dirigenza, ai suoi progetti e ai suoi metodi di lavoro con fastidio e diffidenza.

Chiunque in questi più-di-vent’anni ha seguito la Roma e conosce la Roma ha sempre saputo che la fine della carriera di Francesco Totti sarebbe stata molto complicata. Oggi sappiamo che potrebbe anche avere le sembianze di una resa dei conti tra vecchio e nuovo. Mentre il tempo passava, il sollievo per ogni anno guadagnato e risparmiato allo psicodramma si accompagnava alla sensazione che ogni anno in più avrebbe contribuito a rendere le cose più dolorose. Un mio caro amico ieri scriveva che questa storia di Totti da una parte e della Roma dall'altra lo fa sentire come un ragazzino a cui chiedono se vuole più bene a mamma o a papà. Dopo più-di-vent’anni in cui la Roma è stata solo la Roma-di-Totti, non potrebbe essere altrimenti.