Aridateci l'Elton John con la giacca di damasco
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Ridateci l'Elton John che cantava Don't Go Breaking My Heart in giacca di damasco rosa, duettando con Kiki Dee, e nessuno lo invitava come icona del matrimonio gay ma solo per fare show e far ballare la gente. Ridateci i Queen, i Village People, l'ambiguità di Zero nel Triangolo, l'obliqua sensualità di Patty in Pensiero Stupendo, o almeno Linda Perry che canta What's Up con gli anfibi e gli occhialoni da motociclista.
Cari amici gay, noi tifiamo per voi e però non vediamo l'ora che questa storia della Cirinnà sia finita, ché ogni cosa in mano al nostro Parlamento diventa noiosa, grigia, angosciosa come la conta degli esodati, mentre voi – voi gay maschi e femmine, voi che vi autodefinite “gioiosi” non per caso – siete stati per tanto tempo la paillette dorata che ti resta appiccicata sulla guancia, lo zenzero nella minestra, la notte tarda all'Alibi prima e al Muccassassina poi, le calze di pizzo infilate in macchina, e immaginarvi in vestaglia, sul divano, mentre guardate Sanremo con il coniuge e il mazzetto di nastri arcobaleno, ci uccide.
Vi abbiamo amato sui palchi, in letteratura, nei film, più per le cose allegre che per quelle serie. Philadelphia, bellissimo, certo. E però quel che ci piaceva davvero era lo stralunato nerd di “Taking Woodstock”, che affittava il motel dei genitori ebrei osservanti al festival più famoso della storia, oppure quelli di “Pride” con la loro surreale ostinazione nel difendere i rudi minatori gallesi e insegnargli pure a ballare.
I diritti, d’accordo. “Regolarizzare” gli affetti, benissimo. Però. Però Cabaret, e il suo Maestro di Cerimonia col rossetto carminio. Però le notti di Fiume, con D'Annunzio che si affaccia alla finestra a guardare i suoi soldati che “se ne vanno a coppie come i soldati di Pericle”. Però la Dietrich di Lola Lola. Però il dandysmo supremo di certi professori inglesi, in particolare quelli che facevano le spie per Mosca.
Però, però. Quando voi convolerete a nozze, e ci manderete i confetti, e la partecipazione in stampa a rilievo, e magari vi vedremo ai giardinetti con gli stepchildren adopted, e poi ci telefonerete per lagnarvi di quello che non vi paga gli alimenti, di quella che è scappata con la segretaria, di quell'altro che non lava mai i piatti, penseremo in segreto alla foto di Bowie che bacia sulla bocca Lou Reed al Café Royal e ci sfuggirà un piccolo singulto. E dietro il singulto ci sarà il pensiero che anche la trasgressione vostra è andata, e per scandalizzare i borghesi è rimasto solo l'accendersi una sigaretta al ristorante.
Forse non si dovrebbe neanche dire, forse bisognerebbe aspettare l'approvazione della legge, che leverà piombo a questo dibattito da matti in cui sembra che, come ai tempi delle nostre nonne, sposarsi sia obiettivo irrinunciabile e cogente per non essere socialmente impresentabili (“Allora, ti sposa o no? Siete fidanzati da dieci anni!”). Forse potremo riderne insieme dopo, quando la storiaccia del Senato sarà finita bene, sperando che finisca bene, e comincerete anche voi ad avere il problema del fidanzato tampinante (“Se mi ami, sposami”) o della fidanzata renitente (“Devo pensarci, dammi tempo”). Vedremo, e nel frattempo incrociamo le dita. In bocca al lupo a tutti, non intristiamoci.
Ps. Questo pezzo è stato ispirato dal confronto tra Elton John Sanremo 2016 e Elton John Sanremo 1994.