Sempre di più, negli ultimi anni, si parla di autismo. Più se ne parla, tuttavia, meno sembra di saperne. La ricerca scientifica sul tema, nel mondo, va avanti, ma ad oggi non esiste una cura che possa "guarire" una persona autistica, né si conoscono con precisione tutte le cause di questa malattia.

In Italia non esistono neanche dati certi e omogenei su quante siano effettivamente le persone affette da disturbi dello spettro autistico: Maria Luisa Scattoni, coordinatrice del network dell'Istituto Superiore di Sanità per la diagnosi precoce dell'autismo, racconta di una situazione molto confusa, in cui la ricerca fa molto meno di quel che potrebbe fare, perché non si sa precisamente su quale base si operi.

Autismo

La dottoressa Scattoni, nel tentativo di mappare il fenomeno, sostiene che una buona stima approssimativa per il nostro Paese, secondo i dati provenienti da alcune regioni, potrebbe essere di un caso di autismo ogni 150 (ma altre stime parlano di uno su 88); anche troppo prudente, considerato che l'incidenza dell'autismo negli USA, dove il fenomeno è più monitorato, risulta essere di 1 caso su 54 secondo le stime più "allarmiste" e di 1 su 68 secondo quelle più rigorose.

Questi numeri fanno capire che, se non altro, c'è una sproporzione drammatica fra la diffusione dell'autismo e la consapevolezza sul tema, almeno nel nostro Paese: in un quadro che già di per sé presenta moltissime incertezze, è facile creare ulteriore confusione.

Pochissimi non addetti ai lavori, probabilmente, saprebbero dire con sicurezza in cosa consistano i disturbi dello spettro autistico, considerato anche che fino a qualche decennio fa non ne esisteva, neanche a livello scientifico, una definizione condivisa. Oggi, la maggior precisione dei criteri diagnostici e la ricerca mirata fanno sì che si evidenzino molti più casi rispetto al passato, ma la consapevolezza non aumenta di pari passo con il numero di casi diagnosticati.

Su Strade abbiamo più volte cercato di fare chiarezza sull'autismo, mettendo in evidenza le poche certezze che esistono e le tante bufale che vanno in giro su questa malattia, ed è così che la nostra strada si è incrociata con quella di Selene Colombo, regista del film-documentario "Otto passi avanti".

La Colombo, circa tre anni fa, si è imbarcata, con l'aiuto della sorella Sabina, in un'impresa difficile e costosa: girare un film in cui si vedessero bambini e ragazzini autistici nel loro quotidiano, impegnati nelle terapie da soli o insieme ai genitori, ma anche in momenti di gioco e di relax. In effetti, uno degli ostacoli maggiori che incontra chi, a qualunque livello, voglia informarsi e documentarsi sull'autismo è proprio quello di non avere occasione di vedere "praticamente" come si comporta chi ne è affetto, col risultato che o lo si considera qualcosa di misterioso, lontano, estraneo e spaventoso (atteggiamento comprensibile ma quanto mai irrazionale, visti i numeri citati sopra), o se ne acquisisce un'ottima conoscenza teorica, che però non aiuta a capire cosa "fa" in effetti un autistico.

Il film "Otto passi avanti" ("Ocho pasos adelante", nell'originale), girato in Argentina, nell'unico centro di diagnosi e terapia precoce dell'autismo del Paese, nasce con l'intento di avvicinare le persone comuni a questo problema, e di promuovere l'utilità della diagnosi precoce sui bambini dai 18 mesi in su.

Diagnosticare l'autismo il prima possibile è vitale per poter intervenire al più presto con un insieme di terapie che, pur non potendo essere risolutive, aiutino il bambino  a imparare – almeno in parte, almeno per l'indispensabile – a fare quello che la malattia gli impedisce: interagire coi suoi simili. Secondo le ultime ricerche, è importante che la diagnosi avvenga tra i 18 e i 24 mesi, perché a quell'età il cervello umano (affetto da autismo o meno) è in grado di apprendere infinitamente di più e meglio rispetto a quanto potrà fare in seguito.

In termini pratici, spiega Selene Colombo, una corretta diagnosi precoce di autismo, seguita prima possibile dalle terapie del caso, può fare la differenza tra un bambino che (pur tra le mille difficoltà della sua malattia) impara a parlare e a relazionarsi e un bambino che invece, per mancanza di stimoli adeguati al suo stato, rimane, e rimarrà anche da adulto "chiuso in se stesso", senza riuscire a capire come funzioni il mondo circostante, costantemente frustrato dal non poter vivere una vita autonoma.

Differenza che si acutizza nell'età adulta: una persona incapace di parlare e di farsi capire, che alla morte dei genitori o dei tutori, per la sua e altrui incolumità, verrà "segregata" in qualche struttura protetta, spesso nemmeno specializzata per il suo problema, "costa" alla società, in termini morali e materiali, molto più di una persona che invece, anche se il suo cervello continua a funzionare secondo schemi tutti propri e diversi da quelli accettati dagli altri, sia in grado di interagire col mondo circostante e possa così vivere una vita almeno in parte autonoma, magari anche lavorando per mantenersi.

Una terapia precoce, portata avanti con costanza e competenza da operatori formati correttamente, che a loro volta formino i genitori di figli autistici, non può guarire l'autismo (per cui ad oggi, ribadiamo, non esiste cura), ma sicuramente può migliorare in maniera sostanziale la qualità della vita di chi ne è affetto e della sua famiglia.

Grazie a "Otto passi avanti", patrocinato dall'UNESCO e proiettato anche all'ONU, ora l'Argentina ha una legge che rende obbligatoria la diagnosi precoce per tutti i bambini, al raggiungimento dei 18 mesi. Anche se in Italia una legge del genere non esiste, e solo adesso, grazie al lavoro del team dell'ISS guidato dalla dottoressa Scattoni, si comincia a parlare di un network italiano di diagnosi e terapia precoce dell'autismo, un primo screening sui bambini di 18 mesi può essere effettuato anche dagli stessi genitori, seguendo le direttive del M-Chat test, usato in tutto il mondo e tradotto in italiano qui.

Il progetto delle sorelle Colombo si pone l'obiettivo di sensibilizzare quante più persone possibile alla questione, irrisolta e per molti versi, ad oggi, irrisolvibile, dell'autismo: mentre la scienza studia per scoprirne la causa, è importante che tutti, non solo scienziati e medici, facciamo "otto passi avanti" nel capire cosa siano davvero i disturbi dello spettro autistico, come si presentino, che cosa comportino e come ci si possa convivere col minor danno possibile per chi ne è affetto e per chi ha a cuore il suo destino.

Il 2 aprile è la giornata mondiale per la consapevolezza sull'autismo: da qualche anno, visto il numero sempre crescente di casi diagnosticati, anche la voglia (o, sfortunatamente, la necessità) d'informarsi su questa malattia sta crescendo. Sono nati progetti come Insettopia, di cui abbiamo già scritto su Strade, e iniziative di sensibilizzazione fioriscono un po' ovunque; a Roma, Otto Passi Avanti sta organizzando corsi per insegnanti di asilo nido, per insegnar loro, attraverso il film e altri strumenti, a riconoscere i segnali sospetti. Un'iniziativa quanto mai utile, considerato che questi insegnanti, pur venendo a contatto quotidianamente con centinaia di bambini, non hanno mai ricevuto una formazione specifica in questo senso.

Naturalmente, in Italia più che in altri Paesi, c'è ancora molto da fare: la dottoressa Scattoni ricorda che, per quanto possa essere utile la diagnosi precoce, se – come purtroppo accade spesso - non è affiancata da una terapia altrettanto precoce, calibrata individualmente per ogni bambino, impostata seriamente e soprattutto continuativa si svuota di senso. E, se non si riescono nemmeno a capire con precisione i numeri del fenomeno, è difficile pensare che si possano impostare, a livello di sanità pubblica, interventi e finanziamenti nella dimensione e nella modalità di cui c'è bisogno.

Anche per questo è importante la diffusione di Otto Passi Avanti e di iniziative analoghe, appassionate e pragmatiche allo stesso tempo, mirate ad avvicinare al grande pubblico una tematica finora sempre considerata tabù: prima comprenderemo che l'autismo è un fenomeno che ci riguarda tutti, più o meno da vicino, come individui e come società, prima si troverà, se non proprio una cura, una maniera di affrontarlo che ci faccia stare meglio tutti, autistici e no.