Cattaneo grande

Ieri il Senato ha approvato in prima lettura il disaegno di legge per il bando alla carne coltivata (impropriamente detta "carne sintetica") che ora passa alla Camera. Si tratta di una proposta di 7 articoli, che introduce introduce il divieto di produzione e immissione sul mercato di alimenti, bevande e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati.

Nella discussione è intervenuta anche la senatrice a vita Elena Cattaneo, che ha denunciato il pregiudizio antiscientifico e l'irrazionalità politica di una legge che trasforma la tutela della salute e delle tradizioni alimentari un alibi per una misura essenzialmente protezionistica.
Pubblichiamo a seguire il testo del suo intervento.

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Signora Presidente, colleghi, membri del Governo, devo ammettere che non capisco proprio gli argomenti che portano il Governo italiano a volersi intestare il triste vanto di essere il primo al mondo a vietare preventivamente i prodotti a base di carne coltivata, prodotti che stiamo ancora studiando, per i quali si stanno raccogliendo dati scientifici, a cui stanno contribuendo i ricercatori delle nostre università (l'Università di Trento, Tor Vergata, l'Università di Napoli, l'Università di Torino).

A pensarci è un corto circuito pazzesco, perché qui si tratta di vietare le applicazioni di quello che stiamo ancora studiando. Ma, se stiamo studiando, significa che non sappiamo; non sappiamo l'impatto, non sappiamo la percezione del pubblico, le ricadute, la qualità. Se non so, come faccio a decidere che non li voglio? Qual è la qualità legislativa di una simile decisione? Se il fastidio è nel chiamare questi prodotti "carne", mi associo a quanto detto ieri dal senatore Spagnolli: trattandosi di alimenti che sembrano analoghi, sotto il profilo nutrizionale, alla carne da macellazione, possiamo chiamarli in altro modo, se questa è la condizione per non proibirli.

Oggi con voi vorrei trattare di sei elementi contradditori relativi a questo primato mondiale italiano del divieto alla carne coltivata. Il primo elemento riguarda la sorprendente esclusione degli studiosi dalle audizioni su una materia che ha forti componenti scientifiche e tecnologiche. Vedete, sono in Senato da dieci anni e continuo a credere che studiare sia l'elemento indispensabile per capire la realtà e le sue evoluzioni e per prendere decisioni individuali e collettive che riguardano la vita di tutti noi. Già ieri la collega Aurora Floridia ha denunciato come le Commissioni 9a e 10a, nell'esaminare il disegno di legge, abbiano limitato le audizioni in presenza, escludendo incredibilmente gli studiosi e i ricercatori del Paese attivi in questo ambito, ai quali è stato chiesto di inviare delle memorie scritte, quando sarebbe stato utile ascoltarli, sentirli, frequentarli e capire cosa vedono in quella direzione, sulla quale stanno spendendo la loro vita.

Per nulla? Per niente? Avranno delle motivazioni. Perché non ascoltarli? Fanno parte del nostro Paese e delle nostre università. Tra l'altro, pensate che proprio gli studiosi italiani non auditi sono quelli che hanno scritto un mese fa su «Nature Biotechnology» un articolo che ha proposto alla comunità scientifica mondiale di contribuire a costruire sulla carne coltivata un consenso scientifico volto a evitare eventuali, anche se del tutto improbabili, fughe in avanti, che possano porre problemi di ordine sanitario o bioetico. Quindi ci si interroga insieme.

La senatrice Floridia ha ricordato ieri come l'aggettivo "sintetico" sia del tutto inappropriato per descrivere i prodotti di cui stiamo discutendo oggi. Quindi il termine va emendato e davvero spero che tutti noi staremo attenti a non riproporre questa trappola linguistica.

Come secondo punto vorrei analizzare con voi la motivazione per la quale il principio di precauzione, invocato a fondamento della legge in discussione, sia aberrante rispetto a quanto previsto dall'articolo 7 del regolamento europeo del 2002. Il principio di precauzione ha ragione d'essere quando fondato su basi empiriche, che affrontano l'analisi del potenziale impatto con dati quantitativi, con un calcolo del rischio, con una comparazione rispetto ai benefici e con le potenziali alternative disponibili, il tutto all'interno di un arco di tempo scientificamente ragionevole. Se ci sono motivi validi o potenziali rischi, la messa in atto di procedure precauzionali può essere di grande aiuto sociale.

Ma attenzione, il principio di precauzione non può essere usato o sbandierato come una clava, come uno strumento retorico per sollevare paure irrazionali o guidate da gruppi di interesse. A tale proposito cito per tutti la memoria agli atti delle Commissioni inviata dall'Associazione nazionale dei biotecnologi: i prodotti per i quali si intravede un rischio che possa prefigurare l'attivazione del principio di precauzione in Europa oggi non esistono e - sempre secondo quella memoria - il report della FAO di aprile e le consultazioni dell'EFSA di maggio indicano sicuramente vari rischi per la salute, ma sono rischi analoghi o paragonabili a quelli dei cibi naturali già in commercio. Parliamo in ogni caso di rischi che possono essere indagati e gestiti in fase autorizzativa sui novel food.

L'altro aspetto che la memoria dell'Associazione nazionale dei biotecnologi ricorda è che i divieti in via di introduzione non rispettano i principi di proporzionalità, di non discriminazione e di coerenza, così come non prevedono analisi di vantaggi, oneri e modalità di esame e riesame della valutazione scientifica che ha portato all'invocazione del principio di precauzione, che non può diventare un principio di limitazione.

Anche ieri, sempre su questo, vari senatori hanno sottolineato come la legge sia inutile oggi, perché vieta qualcosa che è già vietato, e sarà inutile domani, se e quando l'EFSA, così come ha fatto la Food and drug administration per alcuni prodotti, darà il nullaosta ad alcuni di questi prodotti e su tale base la Commissione europea ne autorizzerà il commercio all'interno dell'Unione e, una volta autorizzati, sappiamo bene che non potranno essere fermati alla frontiera.

L'esito dell'inserimento del principio di precauzione è che con questa legge e con questo principio le nostre imprese non potranno produrre una serie di elementi, non potranno cimentarsi, non potranno innovare. Non è vero che non si blocca la ricerca, perché si sta dicendo ai ricercatori che il prodotto del loro lavoro non ha futuro nel Paese nel quale sono impegnati a fare ricerca.

Il terzo punto riguarda le narrazioni terroristiche sui bioreattori e sulle staminali pericolose. Il senatore Spagnolli ieri, a proposito delle narrazioni sulla carne coltivata che si produce in bioreattori, ha ricordato che anche yogurt, birra e vino, anche a livello casalingo, si producono in bioreattori. Aggiungo che, grazie ai bioreattori, oggi abbiamo l'insulina, ma anche i vaccini e gli anticorpi monoclonali che ogni giorno salvano migliaia di vite.

Sempre il senatore Spagnolli ieri ricordava che per spaventare i cittadini si sono dipinte le biotecnologie a base di cellule staminali come pericolose. Attenzione, qui si entra proprio nel mio campo di lavoro: le staminali sono cellule che vengono usate in totale sicurezza sui malati, che vengono studiate da decenni, che dieci-quindici anni fa presentavano rischi sui quali la ricerca si è cimentata, annullandoli con lo studio e con la comprensione dei loro meccanismi di funzionamento e oggi queste cellule sono usate per trattare malattie umane (cornea, pelle, sangue e molto altro). Perché dovremmo dunque averne paura, quando sarà uno scienziato di Trento o di Roma ad usarle per fare una crocchetta di pollo come quella dei fast food che il nostro corpo digerisce in poche ore?

Il quarto punto che voglio segnalare è l'incredibile errore nella nota introduttiva del disegno di legge che cita a sproposito articoli scientifici. Viene infatti richiamato un articolo pubblicato sul «British medical journal» nel 2019, che riporta un aumentato rischio cardiovascolare in seguito al consumo di alimenti processati e ultralavorati, ma - attenzione! - ci si rifà a prodotti da carne da macellazione, ottenuti con metodi tradizionali. Si tratta quindi di insaccati da carne macellata. Ricordo che gli insaccati sono in categoria 1, secondo lo IARC, quella più pericolosa e sicuramente cancerogena. Tuttavia, nessuno immagina di vietarli, perché - ed è giusto ricordarlo sempre ai cittadini - è la dose che fa il veleno, quindi la frequenza e la quantità del consumo.

In ultimo, il quinto punto che mi porta a discutere con voi è la discriminazione che il disegno di legge opera tra aragoste e bovini: per le prime la carne coltivata è consentita, per i secondi è vietata. Il divieto per la carne coltivata vale solo per gli animali vertebrati, ma possiamo produrre carne da echinodermi, ricci di mare, cefalopodi e molluschi. Forse i rischi paventati per carne coltivata da aragoste non esistono? Se i bioreattori sono pericolosi, forse pensiamo che coltivare carne da aragoste nei bioreattori non possa avere gli stessi rischi? Perché per le aragoste il principio di precauzione dovrebbe cadere? Forse la pasta con i ricci di mare coltivata può avere la grazia di essere considerata made in Italy, o forse i pescatori diretti di cozze, calamari, polpi, aragoste e ricci non godono presso il Governo di sufficiente ascolto? O magari sono semplicemente più attrezzati a guardare al futuro e all'innovazione come fattore di sviluppo. Credo che il Governo debba fornire le ragioni tecniche alla base di questa differenziazione.

Infine, ultimo punto, vi è la libertà di scegliere come nutrirsi. Questo disegno di legge, a mio avviso, si configura come un ennesimo arretramento scientifico, economico e culturale del nostro Paese, che mortifica i nostri ricercatori, tarpa le ali ai nostri imprenditori più innovativi, limita la libertà di scelta dei cittadini che vorrebbero poter provare, se certificati come sicuri, questo tipo di prodotti. Non sono pochi questi cittadini: ho sentito ieri nella discussione ripetere che "solo" il 18 per cento dei cittadini italiani vorrebbe consumare prodotti a base di carne coltivata. Ebbene, stiamo parlando di 10 milioni di italiani a cui questa maggioranza sta per limitare ideologicamente la libertà di scelta alimentare. Trovo sia offensivo e paternalistico considerare i cittadini come eterni bambini in svezzamento, rispetto ai quali lo Stato si arroga il diritto di decidere cosa possano assaggiare e cosa no, in nome di un richiamo improprio ad un principio di precauzione applicato in maniera tombale, quando invece per sua natura è temporaneo e rivedibile.

In conclusione, il mio e il nostro dovere nelle istituzioni è difendere i cittadini da chi li ritiene incapaci di comprendere i benefici della ricerca, difendere gli studiosi da chi ne disconosce il lavoro e l'eccellenza, difendere gli imprenditori da chi vuole limitare la loro libertà di impresa, cioè quella di svolgere nelle loro aziende e con i loro soldi le attività che ritengono, quando queste non nuocciono ai cittadini. Da studiosa e da senatrice, sento anche il dovere di manifestare la mia ferma opposizione a una deriva culturale pilotata da portatori di interesse del mondo agroalimentare, che vogliono impedire a nuovi attori economici di affacciarsi sul loro stesso mercato, facendo dell'Italia il campione mondiale del terrore della conoscenza. Questa è una responsabilità che graverà su questa istituzione parlamentare e su quanti tra noi, a sprezzo di ogni ragionevolezza e - mi sia consentito - anche del ridicolo, sceglieranno di assecondare con il proprio voto una narrazione avulsa dalla realtà.