Coronamedia. Il ‘servizio d’ordine’ dei TG e gli alibi del fallimento italiano
Scienza e razionalità
Io non so per quale malinteso spirito di servizio politico-patriottico la generalità dei TG italiani abbia scelto non di informare, ma di collaborare alla “comunicazione” dell’esecutivo, cioè di non parlare degli esiti delle strategie di contenimento, ma di rassicurare, orientare e minacciare l’opinione pubblica, con il solo obiettivo di dimostrare che il principale rischio che corriamo sul fronte del contagio e la colpa che più duramente paghiamo dall’inizio dell’emergenza è la “disobbedienza” alle prescrizioni restrittive, quando la cosa che ha funzionato meglio, dal lockdown a oggi, è stata esattamente l’adesione dei cittadini allo #statetuttiacasa.
Il report sulla attività di “controllo inerente le misure urgenti per il contenimento della diffusione del virus COVID-19” del Viminale attesta che nella settimana tra il 28 marzo e il 3 aprile 2020 sono stati effettuati 1.560.000 controlli sulle persone e rilevate circa 48.000 infrazioni (3%). I controlli sugli esercizi commerciali sono stati 612.000, con sanzioni elevate solo in 1200 casi (0,2%). E i dati delle settimane precedenti non erano affatto peggiori.
L’informazione tv è direttiva e intimidatoria verso il pubblico ed elusiva e partigiana rispetto agli esiti della “lotta” al Covid-19. Non ha nessuna distanza critica, è psicologicamente catturata dal ruolo di “protezione civile mediatica”, che non si capisce chi e perché le abbia affidato e continua a fare male il suo mestiere e pure peggio quello degli altri, perché sovrapporre il ruolo dell’informazione a quello della comunicazione (neppure necessariamente della propaganda) è, come si dovrebbe studiare sui sacri testi della devozione deontologica, una colpa capitale e un errore inescusabile.
Che il lockdown sia la strategia che ovunque nel mondo occidentale si è imposta come rimedio d’emergenza e a cui è affidato il contenimento del contagio è certamente oggettivo. Ma non c’è niente di oggettivo nel continuare a sostenere che gli esiti della lotta al Coronavirus dipendano solo da quanto la gente sta a casa e dunque, se le cose non funzionano come dovrebbero, la colpa è di chi esce di casa.
Il fallimento clamoroso del contenimento in Lombardia è dipeso da una serie di scelte e di errori istituzionali, da inefficienze della macchina amministrativa, dal vero e proprio default delle strategie di prevenzione e profilassi all’interno delle strutture sanitarie, da una strategia su tamponi e ricoveri che ha saturato gli ospedali (non solo le terapie intensive) e lasciato a se stesso il cosiddetto “territorio”.
Se i medici di famiglia non hanno le mascherine, se le persone sintomatiche e potenzialmente positive non vengono “tamponate” e isolate, ma chiuse in casa con i loro familiari, se si sono persi per strada non solo i malati, ma anche i morti di Covid-19 (in troppe aree i picchi di mortalità sono molto superiori a quelli dei “morti ufficiali” da Coronavirus), le ragioni non hanno nulla, letteralmente nulla a che fare con lo #statetuttiacasa (e se ce l’hanno, ce l’hanno in un senso sinistramente opposto). Hanno a che fare con le responsabilità che nel presunto “non stare a casa” degli italiani cercano un alibi comodo, che i TG nazionali ufficialmente confermano, a beneficio di una classe dirigente addirittura patetica, come quella lombarda, nel suo continuo sciamare avanti e indietro per ogni dove, in kermesse partecipatissime e in sale stipate di giornalisti e attendenti per inaugurare reparti non ancora aperti.
Continuare a denunciare che c’è “troppa gente in giro”; mandare a rullo immagini di passanti sulle vie commerciali (che per qualche ragione psico-mediatica sono più scandalose delle file chilometriche davanti ai supermercati); continuare a riportare allarmisticamente i tassi di uscita dalle abitazioni derivati dalle celle telefoniche o dal traffico veicolare, senza metterli in relazione, mai una volta, con la percentuale di popolazione che continua a lavorare legalmente (anzi obbligatoriamente) in modalità non smart: ecco, tutto questo non è, qualunque cosa possa significare, “servizio pubblico”. Certamente non è informazione.
E lo è ancora meno avere inchiodato la discussione e aizzato la riprovazione su pericoli inventati (“le corsette”, le “passeggiatine”, “i bisogni del cane”), che in nessun altro paese normale, pure impegnato in analoghi lockdown delle attività sociali, sono state sottoposte a misure ottusamente restrittive, né sono diventati i feticci di una squallida caccia agli untori, come quella che hanno inscenato in Italia i capipopolo e i capibanda politici responsabili del disastro che avremmo sotto gli occhi, se la tv ce lo facesse vedere, anziché farsi paladina di questo ottuso “credere, obbedire e combattere” e diventare il servizio d’ordine di presidenti, ministri, sindaci e governatori con il ditino alzato e la coda di paglia.