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The Federalist Paper n. 10. Immagine tratta da teachingamericanhistory.org

 

Il problema dell’eventuale degenerazione di un regime democratico in una dittatura della maggioranza è ben noto fin dagli inizi della storia della democrazia moderna. Il termine è dovuto a John Adams (A Defence of the Constitutions of Government of the United States of America, 1778), e con qualche differenza terminologica si trova in Edmund Burke (Reflections on the Revolution in France, 1790), il tema essendo centrale nel Federalist Paper n. 10 scritto da James Madison, ritenuto oggi uno dei testi chiave della democrazia moderna. Alexis de Tocqueville ha scritto pagine fondamentali sul rischio che una maggioranza imponga decisioni sbagliate con il peso del numero, e non con l’eccellenza dell’argomentazione, in Democracy in America (1835), e John Stuart Mill ha approfondito il tema in On Liberty, del 1859.

Il tema è abbastanza chiaro. Può il parere della maggioranza della popolazione essere sempre e comunque accettato come valido e legittimo? È evidente – oggi come lo era ieri – che se accettiamo tale punto di vista, nascono alcuni paradossi, alcuni evidenti altri meno. Ad esempio, sulla base della decisione della maggioranza, è possibile abbandonare un punto di vista razionale e decidere a maggioranza di… giustiziare gli untori, bruciare le streghe (per fare esempi storici concreti) o decidere che 2+2 fa 5? È possibile che un gruppo organizzato intorno ad un argomento specifico, raggiunta la maggioranza, possa imporre il suo punto di vista indipendentemente dalle conseguenze che tale punto di vista possa avere sulla società nel suo insieme? Possiamo decidere a maggioranza che un determinato gruppo etnico minoritario vada eliminato, esiliato, scacciato dal paese? Può la maggioranza meno ricca del paese decidere di tassare come se non ci fosse un domani la minoranza piú ricca e redistribuire la ricchezza (problema che si pone in concreto James Madison in Federalist Paper n. 10)?

Se il problema è chiaro, la soluzione lo è un po’ meno, soprattutto se ci mettiamo nell’ottica – sbagliata – di pretendere che le strategie politiche siano deterministiche, univoche e lineari come la dimostrazione di un teorema matematico. Ma non è un problema irrisolvibile, e due secoli abbondanti di storia della democrazia moderna, un travaglio politico e filosofico che nasce appunto con l’opera dei grandi pensatori sopra citati, stanno qui a testimoniarlo.

La soluzione sta nell’imporre alla democrazia dei limiti senza i quali essa si trasforma nel suo opposto. Quali limiti, e come articolarli in concreto, dipende dalla storia e dalla cultura dei vari paesi. Negli Stati Uniti, ad esempio, il meccanismo del Collegio Elettorale nell’elezione del Presidente nasce esplicitamente per evitare che un demagogo, una persona chiaramente al di sotto dei requisiti necessari, possa accedere alla carica anche se la maggioranza dei cittadini fosse disposta a votarlo (che poi le ultime elezioni americane abbiano dimostrato che tale meccanismo possa anche essere fallace è un’altra questione). La democrazia è rappresentativa, e non diretta, proprio per evitare fenomeni di dittatura della maggioranza. Nel nostro paese, non è un caso che un meccanismo di democrazia diretta come il referendum abbia un campo di applicazione piuttosto limitato.

Tutto questo per dire, dunque, che la democrazia non è contarsi, non è decidere a maggioranza su qualsiasi cosa. Che anzi il puro contarsi, senza spiegare il come, il quando ed il perché, rischia di diventare una pericolosa forma di tirannide. E questo bignamino di Educazione Civica dovrebbe essere ripetuto a tutti coloro che ripetono il mantra – superficiale se non fuorviante – che “La Scienza non è democratica”, quando in realtà vogliono dire – se interpretiamo la frase in modo benevolo, e questa volta vogliamo farlo – che su certe questioni non si può decidere a maggioranza senza la delega ad un qualche comitato di esperti: siamo cioè all’ABC della teoria della democrazia rappresentativa, cosí come elaborata dai Grandi (Stuart Mill, Tocqueville, i padri fondatori degli Stati Uniti…) un paio di secoli fa.

Ma si potrebbe addirittura sostenere che la natura della scienza moderna è in realtà profondamente democratica, se alla parola democrazia si dà il senso corretto. Alla base della scienza moderna vi è infatti l’abbandono del principio di autorità, e l’accettazione di criteri universali per la verifica della validità di una teoria. Come, per Tocqueville, uguaglianza non vuol dire che tutti debbano essere uguali, ma che le differenze che inevitabilmente esistono non devono avere peso politico, la natura democratica della Scienza non vuol dire che ogni scempiaggine, se accettata da una maggioranza di persone, diventa vera, ma che esiste un criterio universale, accessibile a tutti coloro che vogliano impegnarsi, indipendentemente dal loro status sociale, per stabilire la verità di una teoria.



A fine settembre, oramai da diversi anni, mi trovo davanti qualche centinaio di studenti che mettono piede per la prima volta nell’Università, e mi ritrovo, ogni volta, a dover spiegare perché dobbiamo dimostrare i teoremi. Perché in altri termini è necessaria questa cosa cosí faticosa: doversi inventare una “dimostrazione” di qualche affermazione che sarebbe invece cosí semplice prendere per buona senza scomodarsi tanto. Perché se ho una funzione continua f(x) definita nell’intervallo [a,b] tale che f(a)<0 ed f(b)>0 allora esiste un punto c nell’intervallo [a,b] in cui f si annulla? Sarebbe molto comodo dire “perché ve l’ho detto io”, “perché sta scritto sul libro”: si faticherebbe molto di meno, impari a memoria e via.

Perché dunque si fatica a dimostrare? Perché ci rifiutiamo di porre l’autorità su una persona, o su un libro, o su una casta di persone che scrivono dei libri specifici, e la poniamo invece sul ragionamento, una capacità universale dell’uomo. In modo del tutto analogo, la velocità c della luce nel vuoto è di circa 299792,458 kilometri al secondo non perché lo dico io, Einstein, Michelson e Morley o Wikipedia in cui ho appena guardato il numero preciso, ma perché delle persone l’hanno misurata, hanno descritto il modo in cui la misura è stata fatta, mettendo altre persone nelle condizioni di ripetere la misura e quindi di convincersi della validità della loro procedura.

Le discipline sperimentali e quelle ipotetico-deduttive, che trovano nella Fisica Matematica il loro paradigma, sono da questo punto di vista il trionfo della democrazia, tant’è che ne sono sostanzialmente contemporanee ed entrambe trovano la loro origine nel Rinascimento prima e nell’Illuminismo poi. Il tempo libero dalla ricerca degli studiosi sarebbe molto meglio speso a fare, ad esempio, divulgazione, piuttosto che a tuonare sulla natura non democratica della Scienza.