Inquinamento, salute e povertà
Scienza e razionalità
“Povertà non significa semplicemente mancanza di denaro. Povertà significa anche un ridotto accesso all’educazione, all’assistenza sanitaria, al cibo, all’igiene e impedisce la partecipazione ai processi politici e giuridici, quando esistono, e alla società civile. Quando le famiglie sono senza cibo, vestiti e una casa non hanno nemmeno le risorse per godere di un livello minimo di salute”.
È sulle persone che si trovano in queste condizioni che pesano maggiormente gli effetti dannosi dell’inquinamento. Essere poveri, oggi, significa essere in lotta contro un nemico molto spesso invisibile, troppo spesso ignorato ma non per questo inesistente. Ed è ora di agire, sollevando milioni di persone dall’incubo della povertà, investendo su un modello di crescita che sia attento anche agli effetti ambientali, fattori determinanti - per quanto dimenticati - del benessere delle popolazioni.
Ce lo suggerisce il The Lancet Commission on pollution and health, un lungo report dedicato agli effetti dell’inquinamento sulla salute umana - pubblicato a fine ottobre dall’importante rivista scientifica Lancet - che evidenzia l’esistenza di un legame strettissimo tra le condizioni ambientali e quelle economiche nel determinare la qualità della salute e della vita umana.
L’inquinamento è l’introduzione nell’ambiente di materiali non voluti, spesso pericolosi, derivanti dall’attività umana che minacciano la salute e danneggiano l’ecosistema.
L’inquinamento – sottolinea il report - è la principale causa ambientale di malattie e morti premature nel mondo. Secondo le stime, le malattie legate all’inquinamento sono state responsabili di circa 9 milioni di morti premature tra 2015 e 2016, il 16% di tutti i decessi a livello globale, tre volte più delle morti causate dall’AIDS, tubercolosi e malaria messe insieme e 15 volte più dei decessi causati dalle guerre o da altre forme di violenza. Nei Paesi dove le cose vanno peggio, i decessi legati all’inquinamento sono un quarto dei decessi totali. L’inquinamento è classista: “Quasi il 92% dei decessi dovuti all’inquinamento avviene nei paesi a basso o medio reddito - specifica lo studio - e, tra tutti i Paesi, questi decessi sono prevalenti tra le minoranze e gli emarginati”.
È una catena che imprigiona i più poveri: “Senza influenza politica - sottolineano gli autori dello studio - e con poco potere in molti Paesi per controllare o prevenire l’inquinamento, i poveri hanno una capacità limitata di determinare il destino delle loro comunità [...]. La povertà è una trappola che spesso si estende per generazioni. [...] Una grande sfida per le ‘teste illuminate’ al governo è quella di bilanciare lo sviluppo economico che solleva persone e comunità dalla povertà e la prevenzione delle malattie legate all’inquinamento”. Se ci sta a cuore anche l’avanzamento dei diritti umani, dobbiamo considerare che “l’inquinamento minaccia i diritti umani fondamentali: il diritto alla vita, il diritto alla salute e al benessere. Mette a rischio i diritti dei bambini, dei lavoratori e della protezione dei più vulnerabili”.
Il problema è talmente pervasivo che anche laddove l’arrivo di forme più avanzate di igiene, prevenzione e controllo delle malattie ha garantito un miglioramento delle condizioni di vita, le nuove forme di inquinamento rimettono in gioco i progressi ottenuti, in una specie di Gioco dell’Oca in cui le pedine sono quasi sempre i più svantaggiati.
Ma non è un problema solo degli altri, il legame tra inquinamento e povertà c’è dappertutto, cambiano forse le scale: dove i poveri sono intere nazioni, sono intere popolazioni a soffrire; dove i poveri sono minoranze, sono loro a subirne gli effetti, come capita, ad esempio, in Nord America o nell’Europa dell’Est, dove i ‘reietti’ vedono molto spesso usurpati i propri diritti o vengono confinati in ambienti insalubri.
E tutto ha un costo: secondo gli autori del report, nei Paesi più benestanti i danni portati dall’inquinamento, in termini di produttività persa, sono costati più di 53 miliardi di dollari nel 2015. Nei Paesi più poveri questo costo vale tra l’1,3% e l’1,9% del PIL e si assesta tra lo 0,6% e lo 0,8% in quelli con un reddito medio-basso. A livello di welfare, l’inquinamento è costato in totale la perdita di 4.622 miliardi di dollari, circa il 6% del PIL mondiale, con gli effetti più pesanti che si sono verificati sulle spese per welfare sostenute dai Paesi con redditi medi (9,4% circa dei rispettivi PIL) e bassi (8,3%). Il tutto senza considerare i costi economici legati ai danni ‘puramente’ ambientali.
Un’attenzione particolare deve essere posta sulle città e sui grandi insediamenti urbani, dove si concentrano le vite di circa la metà della popolazione mondiale. “Le persone che vivono nelle città – spiega l’articolo di commento che accompagna il report – sono esposte a un ventaglio di minaccia ambientali – come quelle che emergono da un’inadeguata gestione dell’urbanizzazione, dell’accesso all’acqua, dei trasporti e della gestione dei rifiuti. Quasi il 90% della popolazione che vive nelle città sta respirando aria che non rispetta i limiti stabiliti dalle linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità. Dato che la la maggior parte della crescita delle popolazioni avverrà nelle città, l’espansione urbana necessita di essere pianificata e studiata in modi che rendano le città il centro della salute e del benessere. Le politiche di specifici settori come l’energia, la pianificazione urbana, i trasporti e le infrastrutture dovrebbero essere studiate e implementate tenendo a mente chiari e tangibili obiettivi legati alla salute e all’ambiente”.
Quella catena è dunque una catena che può essere spezzata, ma solo a patto di agire in maniera seria e coordinata per riconoscere innanzitutto l’esistenza dei tanti problemi legati all’inquinamento – e ai cambiamenti climatici che ne sono effetto e causa - e adottare le necessarie contromisure: la prima è quella di sganciare sempre più lo sviluppo dall’inquinamento – che possiamo interpretare come una sorta di materiale di scarto del nostro accresciuto benessere – aumentando l’efficienza, anche ambientale, delle attività umane.
Se esiste davvero uno stretto legame tra inquinamento e povertà, la risposta deve essere quella di una crescita guidata da una nuova attenzione verso problemi che finora sono stati - volutamente o meno - ignorati. Significa che se attività altamente inquinanti, come ad esempio l’approvvigionamento energetico da fonti fossili, sono state storicamente fondamentali per aumentare il benessere economico generale, ciò non significa che sia una tappa obbligata per tutti gli altri. O che se noi rifiutiamo, giustamente, insediamenti produttivi altamente impattanti a livello ambientale perché consideriamo prevalente il nostro diritto alla salute, tale diritto non debba valere anche per le popolazioni che non hanno la possibilità di opporre un rifiuto. “Le strategie per frenare l’inquinamento sono state sviluppate, testate sul campo e sono convenienti - si legge nel documento di Lancet -. Sono state sviluppate inizialmente per i Paesi più ricchi e adesso si stanno spostando verso quelli e medio reddito. Sono basate su leggi e regolamenti, dipendono tanto dalla tecnologia, sono soggette a continue rivalutazioni, sono sostenute da una seria applicazione, incorporano il principio del chi inquina paga [...]. La loro applicazione può aiutare città e Paesi in via di sviluppo a saltare del tutto il peggio dei disastri umani ed ecologici che hanno infestato lo sviluppo economico nel passato”.
Dobbiamo cioè sentirci responsabili per un problema (che ne include tanti altri) globale in un mondo globale e agire di conseguenza, promuovendo un modello di sviluppo - per noi e per gli altri - che finalmente riconosca che l’inquinamento “è molto più che un mero problema ambientale: è una minaccia, profonda e pervasiva, che riguarda molti aspetti della salute umana e del benessere”. Controllare tale minaccia vuol dire avere aria, acqua e suolo più puliti, dunque benefici per la salute delle persone, dei bambini; ridurre il numero di morti premature, migliorare la qualità della vita delle persone e, dunque, anche se indirettamente, migliorare il loro status, aumentare le loro libertà e possibilità di sviluppo sociale ed economico.
Se ci sta a cuore il patto di solidarietà intergenerazionale, agire in maniera responsabile sull’inquinamento, adottando tutte le misure utili per ridurne significativamente l’impatto dannoso, significa impegnarsi tutti - governanti, organismi internazionali, studiosi, imprese, società civile - per dare la possibilità a chi verrà dopo di noi di vivere e crescere meglio, in un mondo più ricco per tutti, non più povero. E non solo a livello economico.