Nel 1784 una commissione istituita dall'Accademia Francese delle Scienze presieduta da Benjamin Franklin smascherava un impostore di successo, e riconosceva per la prima volta l'effetto placebo. Nell'anno di grazia 2014 una nuova commissione, anch'essa presieduta da un americano, si trova a dover ricominciare da capo. Siamo in Italia, e 230 anni di storia della medicina sembrano essere passati invano.

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Siamo nel 1784: l’Accademia francese delle scienze decide di capire che cosa sia, e soprattutto se davvero funzioni, il controverso metodo terapeutico chiamato mesmerismo. Così convoca una commissione di esperti, la fa presiedere nientemeno che da Antoine Lavoisier e da Benjamin Franklin, chiamato dalla lontana America. E si procede a una sperimentazione secondo tutti i crismi della scienza.

Il mesmerismo si fonda sulla teoria del medico e filosofo Franz Mesmer per cui il nostro organismo funzionerebbe grazie al movimento di un fluido vitale: quando il suo movimento nel corpo è disturbato, ecco che insorgono disturbi e malesseri. La cura perciò sarebbe il riallineamento di questo fluido, da operare con l’applicazione di calamite sul corpo del paziente. All’epoca, il mesmerismo è così famoso e diffuso che finisce anche nel libretto di Così fan tutte, di Lorenzo Da Ponte musicato da Mozart, e Mesmer, con la sua Società dell’armonia universale, diventa in pochi anni ricco e famoso.

Peccato che il responso della commissione sia chiaro: la storia delle calamite non funziona. O meglio: se ha qualche effetto sul benessere del malato è solo grazie a quello che oggi chiamiamo effetto placebo. Si tratta del primo impiego di un esperimento del tipo in cieco in medicina, in cui il paziente non sa se venga di volta in volta applicata la calamita, per non farsi influenzare. Così si registrano i miglioramenti che lui stesso dichiara e si va a vedere se davvero ci sia una correlazione tra lo stato di salute e la presenza della calamita.

Si tratta anche del primo riconoscimento dell’effetto placebo. E quindi della prima volta che si riconosce il sistema per cui (immaginazione + calamita = effetto) ma (immaginazione = effetto) e (calamita = nessun effetto). Insomma, è la prima volta che si capisce che la responsabile dell’effetto terapeutico è l’immaginazione: provate a sostituire calamita con zero nelle equazioni qui sopra. Oppure leggete l’icastica conclusione del rapporto della commissione Franklin: “in nessuno dei nostri esperimenti si sono trovate differenze che non siano attribuibili all’immaginazione”.

La commissione per il mesmerismo decide l’ingresso di un vero trial clinico a dirimere una questione medica. Un trial con un metodo scientifico vero, la statistica che serve a interpretare i dati e la trasparenza che la scienza, tutta la scienza, richiede. È scienza.

Passano due secoli: è il 1984. Il microbiologo australiano Barry Marshall si tura il naso e ingoia un’intera piastra di Petri, uno di quei dischi gelatinosi che usano i microbiologi in laboratorio per farci crescere sopra batteri e altre schifezze. Marshall butta giù. E aspetta. Risultato: gli viene l’ulcera. Poi prende un antibiotico, e l’ulcera passa. Nella piastra di Petri era in coltivazione una colonia del batterio Helicobacter pylori, che secondo l’ipotesi di Marshall è la vera causa dell’ulcera, mentre il generico stress a cui a quel tempo si imputa la malattia è un inutile (e dannoso) nemico immaginario. Marshall dimostra di aver ragione: altri esperimenti (certo, meno cruenti) confermano la sua idea. E nel 2005 viene premiato con il Nobel. Soprattutto da allora niente più chirurgia per l’ulcera (tranne in casi gravi) ma antibiotici per via orale.

Di nuovo, è scienza. Ci sono ipotesi giuste e ipotesi sbagliate, esperimenti che le mettono alla prova e niente è segreto per definizione, anzi: è la replica del risultato che dà validità alla teoria, quindi tutti devono essere nella condizione di sapere come è stato condotto l’esperimento. Perché i medici, al di là di tutto quello che possiamo dirci sul coté umano della disciplina, devono avere a che fare con dati, numeri, valori ematici, vedere immagini chiare, leggere la letteratura scientifica e confrontarsi con gli altri. Il fatto che abbiano a che fare con la vita, la morte e la sofferenza degli esseri umani non è una ragione per credere di poter diagnosticare una malattia a sentimento e di curarla con una terapia alla Mesmer, senza uno straccio di prova scientifica. Ed è così da un paio di secoli e mezzo, con grandi spremimenti di menigni e spargimenti di inchiostro.

Per esempio, un secolo dopo la commissione Mesmer arrivò Robert Koch, che mise un punto fermo in quell’annoso problema della ricerca medica che è la comprensione del rapporto causa – effetto. Cioè: come si fa a dire che qualcosa è causa di malattia? Perché la terapia (a meno che non sia sintomatica) se vuole guarire davvero deve estirpare le cause della malattia ed è su questa conoscenza che (spesso) si fonda. Cioè: Marshall dopo essersi fatto venire l’ulcera aveva preso un antibiotico perché la sua teoria e il suo esperimento dicevano che l’ulcera è una malattia infettiva.

Koch pensava a una causa necessaria ed efficiente di malattia, cioè credeva che un certo germe desse sempre la stessa malattia e che la malattia derivasse sempre da quel germe. Oggi sappiamo che è una visione molto limitata del problema (al di là del fatto che si parla solo di infezioni). Ma i suoi criteri restano importanti e sono i seguenti: un microorganismo è responsabile di malattia se è presente in tutti i malati, se si può isolare in coltura e reiniettare in un ospite sano provocando la malattia (tranquilli, in un animale da laboratorio) e se possa infine essere prelevato anche dall’ospite infettato sperimentalmente. Intanto l’arcinemico di Koch, il francese Louis Pasteur, ne scopriva un’altra: la causa delle infezioni in chirurgia erano i batteri portati da chirurghi e strumenti operatori, quindi bisognava disinfettare il paziente e tutto quello che veniva in contatto con le sue ferite aperte. Trovata la causa del problema, trovata anche la soluzione.

Ma c’è un altro sistema per trovare le cause dei problemi di salute di intere popolazioni, ed è la statistica o meglio l’epidemiologia. Immaginate di svegliarvi medico a metà Ottocento a Soho, in una Londra sporca e sovraffollata, dove si muore a grappoli di colera. Che fate? Koch e Pasteur non vi hanno ancora spiegato niente: dovete cavarvela da soli. Il modo migliore è quello di seguire il metodo di John Snow, cioè mettersi a contare. Potreste così accorgervi che i casi di colera sono più frequenti in certe zone del quartiere e non in altre. E comincereste a costruirvi una teoria sull’acqua contaminata e sulla sua distribuzione. Comincereste quindi a capire che la malattia è dovuta a un agente trasmissibile con l’acqua. Mica male come risultato, ottenuto per di più senza usare un microscopio.

Ma Mesmer non era scienza. Proponeva un’unica soluzione per una lunga serie di malattie tutte diverse: il che significava il completo disinteresse (e la completa ignoranza, che all’epoca poteva essere perdonata) verso le cause delle malattie. Usava la stessa terapia senza nessuna prova sperimentale: senza nessuna osservazione di laboratorio alla Koch e nessun calcolo statistico alla Snow. Semplicemente, vendeva illusioni travestite da speranze. Era la fine del Settecento, ma la scienza era già abbastanza strutturata da decidere di impedirglielo.

Se la lezione della commissione Mesmer vi sembra una storia polverosa da imparruccati mozartiani, sappiate che nell’Italia degli anni duemiladieci successe una cosa simile. Un non-medico vendeva rimedi per questo e quello, al di fuori di qualsiasi criterio scientifico. Fu stabilito che una commissione li mettesse alla prova e fu chiamato un americano a presiederla. Qualcuno fece notare che forse, a 230 anni dalla commissione Mesmer, avremmo anche potuto usare la logica, la filosofia, la biologia, la statistica, l’immunologia e persino il diritto per capire a priori che quegli amuleti non erano la panacea promessa. Così la commissione fu fatta e disfatta per mesi e intanto nei teatri moderni, cioè alla tv, si continuava a parlare della presunta terapia come di una cosa miracolosa davvero.

Per fortuna oggi tutto questo non è più possibile perché la medicina moderna ha imparato la lezione e sa comportarsi come scienza comanda (fanno eccezione nuovi venditori di calamite, santoni dai capelli lunghi, pseudo-terapeuti, psico-aggeggi, venditori di acqua fresca, naturocosi, nuovi adepti del culto staminale e medici compassionevoli sottoposti al solo vaglio della commissione lacrime-e-applausi).