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Tra pochi giorni il neoeletto Primo Ministro britannico Theresa May potrebbe firmare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona e chiedere che il Regno Unito si separi dell’Unione Europea. A quel punto attraverso i negoziati verranno stabilite le modalità per l'uscita, tra cui un quadro di riferimento per le future relazioni del Regno Unito con l'Unione. Nel labirinto della legislazione concorrente (per questo è stimato un periodo di almeno due anni per i negoziati) una strada però conduce fuori con certezza: le Agenzie Europee non potranno rimanere in territorio britannico.

EMA, l’Agenzia Europea dei Medicinali (European Medicines Agency) ha sede a Londra, nello scintillante quartiere finanziario di Canary Wharf. Tra canali e grattacieli, ha inaugurato la sua nuova sede proprio l’anno scorso, in occasione delle celebrazioni per il suo ventennale. Ogni anno circa 60.000 delegati dei 28 Stati Membri partecipano alle riunioni, gruppi di lavoro, comitati che nel loro insieme definiscono i contorni del mercato farmaceutico europeo. Pochi sanno che ormai quasi il 90% dei farmaci viene approvato “per via centralizzata”, ovvero l’immissione in commercio è valida per tutto il Mercato Unico che conta al momento 500 milioni di persone. Tutti questi potenziali pazienti leggono lo stesso “foglietto illustrativo” perché i parametri delle valutazioni con le quali un farmaco raggiunge il mercato vengono decisi dall’Europa. In genere la reazione alla frase “decide l’Europa” è sempre negativa. Il voto di Brexit esprime, tra gli altri, proprio questo sentimento, quello di un popolo che vuole riappropriarsi delle propria sovranità, che non vuole essere dominato.

Questa visione è fondamentalmente sbagliata, è un errore concettuale. Quando EMA è stata creata non era altro che una serie di direttive in attesa di essere implementate con lo scopo di armonizzare le attività delle agenzia nazionali; è poi evoluta acquisendo progressivamente più funzioni. Nel 2000 ad esempio nasce l’esigenza di creare una rete di competenze per garantire lo scambio di dati e conoscenza scientifica sulle malattie rare. I cosiddetti farmaci orfani sono valutati da un comitato di esperti (COMT, Commitee for Orphan Medicinal Products) al quale partecipano anche organizzazioni di pazienti e familiari.

La sfida delle malattie rare richiede sforzi coordinati ed è stata esperienza di tutti quella del beneficio in termini di efficienza, innovazione e salute che si determina abbattendo le barriere tra Stati Membri. Nella stesa direzione è andata l’implementazione della legislazione sui medicinali a uso pediatrico, in continua evoluzione, che garantisce standard di sperimentazione e valutazioni efficacia-sicurezza omogenee sul territorio Europeo. La sicurezza dei medicinali in commercio, che in termine tecnico si definisce farmacovigilanza, è anch’essa stata oggetto di un’importante procedura di armonizzazione grazie alla quale un segnale (effetto collaterale o gruppo di reazioni avverse) che emerge nel Regno Unito, viene efficacemente trasmesso in Italia o in Germania.

Non è mai capitato che l’evoluzione della disciplina regolatoria europea andasse nella direzione della segregazione di funzioni, ma sempre dell’abbattimento di barriere. In questi anni esperti, scienziati e policy maker, come sentinelle dell’innovazione, hanno costruito l’Agenzia legge dopo legge, un esempio virtuoso di come la conoscenza scientifica determini le esigenze di policy e non viceversa e di come entrambe servano il fine ultimo della salute dei pazienti. E’ un processo continuo, la cui velocità di cambiamento è stabilita dalle esigenze di salute e dai tempi accelerati dell’innovazione. Nuovi progetti vengono inaugurati, come il PRIME (Priority Medicine) che sostiene programmi di sviluppo di prodotti ad altamente innovativi che rispondono a bisogni insoddisfatti di salute ed emergenze sanitarie (demenze, antibiotico resistenza, per dirne solo alcuni). Nuove frontiere concettuali precorrono e influenzano i tempi della politica. E’ il caso ad esempio delle procedure di negoziazione del prezzo dei farmaci che entrano a gamba tesa nella sovranità delle decisioni interne agli Stati Membri, ma che richiedono a gran voce di essere condivise, almeno nel metodo, perché il valore innovativo in termini di salute di un farmaco è trasversale alle singole esigenze di bilancio.

EMA conta ora sette comitati scientifici e un numero crescente di gruppi di lavoro. Sono centinaia di migliaia di persone che interagiscono, scambiano, imparano gli uni dagli altri e costruiscono un futuro condiviso e più facile. L’Europa, per chi la fa, è un’opportunità, non certo un luogo di repressione della libertà dove le decisioni si subiscono. Per uno Stato Membro e anche per un singolo delegato, l’Europa è l’unico luogo dove realizzare la propria visione e dunque dove creare leadership. Esattamente l’opposto di quello che credono di aver votato i sostenitori di Brexit.

La leadership di uno Stato Membro come il Regno Unito si può stabilire realmente solo se si partecipa a questi comitati, solo se si siede al tavolo dell’Europa. Per tutto il sistema l’uscita del Regno Unito è una perdita incommensurabile. Da solo il Regno Unito aveva il 25% dei contratti (rapporteurship) di nuove domande di immissione in commercio, dettava la legge della farmacovigilanza e esprimeva la leadership, oltre che del comitato della farmacovigilanza anche del comitato di consulenza scientifica alle aziende (SAWP scientific advice working party), il cuore pulsante di EMA, l’avamposto dell’innovazione, un oblò sul futuro.

A EMA la palla corre velocissima, la componente politica dell’Europa fatica a stare al passo con i tecnici dell’innovazione, frena, difende le sovranità nazionali. Il sentore che ci fosse una classe politica non capace di gestire la complessità di questo quadro in evoluzione c’era da parte di tutti, ma lo scenario di Brexit non si poteva immaginare. Il 9 giugno, data dell’ultima riunione del SAWP prima del Referendum, il chair inglese, Robert Hemmings ci ha salutato con un sorriso e una battuta “spero di vedervi a luglio da Europeo”.

Sarà difficile trasformare la Brexit in un’opportunità se non si rimetterà in discussione il progetto politico europeo che ha permesso questo disastro, tradendo centinaia di migliaia di persone che l’Europa l’hanno costruita con il loro lavoro. Spetta alla società trovare rappresentanti idonei a costruire un’Europa diversa, migliore. Lo dobbiamo alle persone.