Se da un lato usiamo la razionalità per raccontare e commentare gli avvenimenti politici, dall'altro è giusto pretendere quella stessa razionalità dalla classe politica che ci governa. Si tratta di una richiesta lecita, anzi, dovrebbe essere ovvia e condivisa, ma sappiamo bene che non è così: tra interessi personali, dietrologie e imbonitori di piazza si invocano e si ottengono spesso decisioni politiche per niente razionali. La domanda a questo punto potrebbe essere: esiste una via d'uscita? Troveremo mai sulla scheda elettorale il simbolo di un partito che si ispiri al metodo scientifico e che dichiari orgogliosamente di perseguire politiche evidence-based? Se la risposta è sì, sarà un partito di destra o di sinistra?

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Uno spunto interessante ce lo offre la rivista The ANNALS of the American Academy of Political and Social Science, che nel numero di marzo ha pubblicato una serie di sondaggi e analisi dedicati al rapporto tra scienza e politica nella società americana. Non ci illudiamo di trovare qui la soluzione ai problemi della politica italiana, ovviamente. Tre stagioni di House of Cards non sono certo sufficienti a cogliere tutte le sfumature della politica a stelle e strisce, tuttavia qualche analogia con i governanti nostrani è possibile individuarla. Per questo è utile curiosare tra i risultati di uno dei sondaggi, che ha invitato 2000 elettori americani a pronunciarsi su 16 tematiche di rilevanza scientifica, come i cambiamenti climatici, gli OGM o la ricerca sulle staminali embrionali. Più precisamente, agli intervistati è stato chiesto di dire se e in che misura la politica dovesse dare ascolto agli scienziati sul tema specifico, assegnando un punteggio da 0 a 10 dove 10 significava "Bisogna ascoltare assolutamente il parere degli scienziati", mentre 0 significava "Bisogna ignorarlo del tutto".

Globalmente, gli americani ripongono una tiepida fiducia nei confronti della scienza: se si fa la media su tutti i temi toccati, i partecipanti allo studio hanno infatti risposto con uno striminzito 6,4. L'aspetto interessante, però, è che questo numero cambia se si considera l'orientamento politico degli intervistati: mentre per i progressisti si arriva a 7,5, conservatori ed elettori "indipendenti" si fermano rispettivamente a 5,6 e 5,8. Questo divario non è sorprendente: i repubblicani sono da sempre accusati di assumere posizioni anti-scientifiche, e vorrà pur dire qualcosa se appena il 6% degli scienziati americani dichiara di votare per loro (lo rivela questo sondaggio del 2009). Va un po' meglio per gli elettori del Partito Democratico, ma anche qui non mancano le note dolenti, a dimostrazione che la scienza non ha colore politico. È sui singoli temi che emergono le differenze tra destra e sinistra: i conservatori, ad esempio, sono scettici sui cambiamenti climatici e contrari all'insegnamento dell'evoluzione nelle scuole; ma anche i progressisti non scherzano, con la loro opposizione agli OGM e alla sperimentazione animale. Ogni volta che l'evidenza scientifica si scontra con i preconcetti e le ideologie, ecco che arrivano i problemi. La chiamano "dissonanza cognitiva", e quando succede è sempre la scienza a cedere il passo.

Non è immediato trasferire le conclusioni di questa indagine al panorama politico italiano, per svariate ragioni. Innanzitutto, qui non c'è un bipolarismo dai contorni netti come negli USA: non si può certo dire che Landini e Renzi abbiano la stessa idea di sinistra, né che il liberista Giannino parli la stessa lingua di Salvini. Non esistono una sinistra e una destra, ne esistono diverse varianti, ognuna con le proprie lacune scientifiche. L'Italia ha poi una forte tradizione cattolica che si è radicata negli anni in entrambi gli schieramenti politici, e questo ha ovviamente influenzato - in negativo - i rapporti con la scienza, intrinsecamente laica. Infine c'è la recente anomalia del Movimento Cinque Stelle, il cui arrivo sulla scena è stato per alcuni aspetti positivo, ma che dal punto di vista della plausibilità scientifica sembra aver raccolto il peggio di tutti gli altri schieramenti. Al netto di queste considerazioni, resta comunque possibile intravedere delle analogie con la scena americana: l'opposizione agli OGM è trasversale, è vero, ma è più sentita negli ambienti di sinistra; viceversa, la bioetica è terreno di battaglia per la destra di stampo cattolico. Le differenze ci sono, ed è su queste che occorre lavorare.

Non sarà facile trovare la soluzione a questo rompicapo: ogni movimento politico è geloso della propria idea di mondo e cercherà sempre e comunque di difenderla, anche quando la scienza e le evidenze remano contro. Sarà possibile uscire dall'empasse soltanto quando ci renderemo conto che si può essere di destra o di sinistra senza per questo nascondere le evidenze scientifiche sotto il tappeto. Basta mettere in discussione le proprie convinzioni sui temi specifici, tenendo comunque ben saldi i propri valori.

Una sinistra illuminata, ad esempio, potrebbe scoprire che il nemico da combattere non sono gli OGM in sé, ma le multinazionali che ne hanno il monopolio; a quel punto basterà invocare più ricerca pubblica per le biotecnologie vegetali, riconciliandosi con la scienza senza snaturare il proprio credo politico. D'altra parte, invece di rifiutare il riscaldamento globale anche davanti all'evidenza, una destra razionale potrebbe accettarlo come un dato di fatto, concentrandosi piuttosto sui mezzi per contrastarlo: ad esempio, no agli incentivi alle rinnovabili che distorcono il mercato, ma sì alla carbon tax. La scienza non piace ai politici perché riduce le opzioni a disposizione, ma non le cancella del tutto. La via d'uscita la si trova sempre, basta usare la razionalità.