Un articolo di Maurizio Ambrosini su lavoce.info fa il punto sulla contabilità degli sbarchi e degli ingressi irregolari di migranti in Italia, e si interroga sugli effetti reali del passaggio dall'operazione Mare Nostrum, voluta nel 2013 dal governo Letta, alla cosiddetta Triton, in vigore oggi.

mare nostrum grande

Sono due operazioni che differiscono innanzitutto nei costi, essendo Triton sensibilmente più economica, avendo un raggio di azione più corto: se Mare Nostrum consentiva di intervenire fino al limite delle acque territoriali libiche, Triton obbliga le navi della nostra marina a circoscrivere l'azione di salvataggio (o respingimento) alle 30 miglia marine dalla nostra costa. Inoltre, c'è una partecipazione anche di altri paesi europei a fronte del cambiamento delle finalità dell'operazione: non più il salvataggio dei naufraghi, quanto la fine degli sbarchi e il controllo delle frontiere. Ed è ovvio che si tratta di una distinzione formale, più che sostanziale, necessaria più che altro a convincere i partner europei che Triton non avrebbe avuto costituito un pull factor, ovvero un effetto di incentivo e di spinta all'immigrazione clandestina. Era questa infatti la critica che veniva mossa a Mare Nostrum, e il maggiore ostacolo a una assunzione di responsabilità comune tra Stati dell'Unione Europea.

Prima di tutto, i flussi migratori complessivi verso l'Italia sono diminuiti, per effetto della crisi economica, e non aumentati, come scritto in più occasioni anche da autorevoli quotidiani: gli ingressi erano più di 400mila all'anno fino al 2009, nel 2013 sono scesi a poco più di 250mila. In ogni caso, i nuovi ingressi regolari (perlopiù dall'Est Europa) sono più degli sbarcati: 178mila nel 2014. E tra coloro che sono arrivati illegalmente via mare, meno di 70mila hanno presentato richiesta di asilo in Italia. Gli altri non sono fantasmi che circolano nell'ombra: hanno oltrepassato le frontiere senza farsi registrare, con la benigna tolleranza delle autorità italiane, per chiedere asilo altrove.

I paesi dell'Europa centro-settentrionale, per non dire della Turchia, accolgono molti più rifugiati di noi: nel 2013, al netto delle nuove domande, 232mila in Francia, 190mila in Germania, 126mila nel Regno Unito, 114mila in Svezia, contro 78mila dell'Italia. Se poi allarghiamo lo sguardo, scopriamo che la Turchia, che accoglieva 600mila rifugiati nel 2013, ora ne dichiara oltre un milione; il Libano pure, e ne ha più di 200 ogni mille abitanti (noi poco più di 1, la Svezia 9, Malta 23). Complessivamente, l'86 per cento degli oltre 50 milioni di rifugiati del mondo sono accolti nel cosiddetto Terzo mondo. L'Unione Europea nel suo insieme ne riceve meno del 10 per cento, e ha diminuito la sua quota negli anni.

Questi numeri suggeriscono che Mare Nostrum non era un pull factor: i migranti non vengono in Italia perché sanno che c'è la possibilità che una motovedetta li salvi in mezzo al mare, ma perché immaginano di poter trovare in Italia delle opportunità di lavoro. E infatti gli ingressi complessivi, durante l'operazione Mare Nostrum, hanno continuato a diminuire, proprio perché la crisi economica ha reso più appetibili altre destinazioni. Piuttosto, sulla frequenza degli sbarchi (e dei naufragi) ha effetto la capacità di controllo nel paese di partenza, ovvero la Libia, che in questo momento è totalmente assente, per le ragioni che sappiamo. Secondo Ambrosini, quindi, c'è un solo significativo effetto nel passaggio da Mare Nostrum a Triton, oltre ai risparmi per le casse dello Stato: "è diventato realtà quanto si temeva: che ogni euro risparmiato, ogni miglio marino abbandonato, avrebbero pesato sulla contabilità delle vite perse e dei diritti umani fondamentali".