I risultati degli stress test pubblicati una settimana fa non sono stati proprio un fulmine a ciel sereno. Si sapeva da tempo che il sistema bancario europeo era sotto-capitalizzato e che la questione riguardava anche le nostre banche. L'ordine di grandezza del fabbisogno, più o meno, era noto. E i nomi delle banche italiane non erano certo un mistero. L'esercizio di simulazione della BCE, in fondo, ha solo stimato più precisamente le carenze di capitale e ufficializzato i casi più problematici.

Certo è che le banche sotto-capitalizzate ora dovranno rapidamente ristrutturare i bilanci e rafforzare il patrimonio. Il mercato finanziario lo sa molto bene. E lo ha fatto capire alla riapertura di lunedì scorso, penalizzando i titoli di MPS e Banca CARIGE – i due istituti con lo score peggiore – e trascinando in "territorio negativo" tutto il comparto.

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Una parte del mondo bancario e finanziario nostrano ha sollevato obiezioni contro gli stress test. Qualcuno dice che probabilmente i sistemi bancari di altri paesi sono stati meno penalizzati di noi perché hanno beneficiato molto più di aiuti pubblici. Sarà vero? A me questa pare tanto una reazione stizzita.

Trovo molto più condivisibili le obiezioni avanzate dagli analisti nei confronti della metodologia dei test. Come tutte le simulazioni fatte a tavolino dagli economisti, anche gli stress test hanno dei limiti intrinseci, imputabili alle ipotesi che ci stanno sotto. In questo senso, anzitutto i test sono basati sui dati dei bilanci 2013. E tanto basta, secondo molti, per rendere i risultati poco aderenti alla situazione reale, molto mutata già durante il 2014. Ma in secondo luogo, soprattutto, sono basati su una ipotesi di "bilancio statico". In altri termini la BCE immagina che la struttura dell'attivo e del passivo delle banche resti sostanzialmente immutata nel tempo. Che gli strumenti finanziari in scadenza vengano sostituiti da strumenti qualitativamente simili e che ogni banca mantenga il medesimo modello di business e lo stesso marketing mix (distribuzione geografica e tipologia di prodotti) durante tutto il periodo di simulazione. Dopo di che elabora l'impatto di uno scenario economico negativo. A pensarci bene è una ipotesi molto poco realistica. Dettata dall'esigenza di omogeneizzare i dati e rendere confrontabili tutte le banche, questa ipotesi riduce gli stress test quasi a un banale esercizio di benchmarking.

Ma secondo me c'è di più. Il vero limite della simulazione non sta tanto nei dettagli della metodologia, quanto nella filosofia stessa dell'esercizio. O sarebbe meglio dire la filosofia che molti "intravedono" nell'esercizio. Una filosofia che è in gran parte racchiusa proprio nel termine "stress test". Il termine fa venire subito in mente le prove di rottura dei pezzi meccanici, oppure i test di resistenza dei materiali alle alte temperature. Insomma, evoca il concetto di affidabilità, di durata, di funzionamento garantito. Tutte caratteristiche pertinenti ai test dell'ingegneria meccanica, ma che diventano improprie se attribuite agli stress test della BCE. I primi, infatti, sono esperimenti scientifici. I secondi non lo sono.

Ecco perché i test meccanici possono certificare in modo accurato e con probabilistica precisione la resistenza e le capacità di tenuta di un pezzo, di un motore o di un elettrodomestico. Mentre, invece, gli stress test della BCE non possono certificare, a priori e a prescindere, la tenuta e la solvibilità futura di un istituto bancario. Chi crede che lo possano fare è un illuso. Le discipline economiche e finanziarie da troppo tempo mutuano il gergo dalle cosiddette scienze "dure" e a volte lo fanno in modo non appropriato. Ma questa è un'altra storia.

Gli stress test non possono assicurare che questa o quella banca terranno di fronte a una crisi recessiva prolungata dell'economia, e soprattutto di fronte al perdurante clima di incertezza e alla crescente sfiducia che questo stato di cose comporta. La scena della corsa agli sportelli raccontata nel film "Mary Poppins" è forse l'emblema più chiaro di come il venir meno della fiducia mette in crisi a tutti gli effetti anche una banca solida. A dispetto di qualunque test di solidità patrimoniale. La liquidità disponibile è solo una piccolissima frazione di tutti i depositi, e ogni banca è sempre esposta al rischio di esserne sprovvista.

L'esperienza di casi recenti come quelli delle banche Northern Rock e Bear Stearns ha dimostrano che non si tratta solo di storia finanziaria o di cinematografia. Che quando la crisi di fiducia è generalizzata non si può nemmeno contare su meccanismi di "compensazione interbancaria". Basta ricordare che all'apice della crisi finanziaria dei sub-prime, il mercato interbancario dei prestiti era completamente sparito. Perché le banche non si fidavano più le une delle altre.

Molti, più concretamente e prosaicamente, considerano gli stress test una forma di comunicazione finanziaria, mirata a rassicurare gli investitori sulle condizioni dei bilanci bancari. Questo probabilmente è il punto di vista più corretto. Anche sotto questo profilo, però, la comunicazione della BCE è prevalentemente a uso e consumo degli investitori professionali e dei mercati finanziari. Della fiducia di risparmiatori, correntisti e depositanti, da troppo tempo le istituzioni sembrano essersi dimenticate. Anche se è altrettanto cruciale per la solidità delle banche.

I grandi investitori finanziari possono provocare un voltafaccia dei mercati. Ma la corsa agli sportelli è un incubo ancora peggiore. E la fiducia dei risparmiatori non si nutre tanto di parametri oscuri, di grafici e analisi sofisticate, quanto piuttosto di semplicità e trasparenza. E allora viene da chiedersi quale sarebbero stati i risultati se invece di fare gli stress test si fossero fatti dei "test di trasparenza"?

@amedpan