ilaria salis grande

Detto che la fedina penale di Ilaria Salis sembra quella di Matteo Salvini – una condannata per avere lanciato dell’immondizia ai poliziotti, l’altro per avere tirato delle uova ai carabinieri: due gemelli del teppismo politico – e detto altresì che se uno fa il ministro, l’altra può pure fare l’europarlamentare (mai fare figli e figliastri tra i campioni dell'attivismo vandalico), l’unica cosa che non si può decentemente sostenere è che la candidatura dell’antagonista milanese da parte dell'Alleanza Verdi e Sinistra sia come quella di Toni Negri coi radicali nel 1983.

Pannella non aveva candidato Negri per onorarne la retorica rivoluzionaria, parolaia e masturbatoria, ma per sollevare lo scandalo della rottamazione dello stato di diritto attraverso la routine di una carcerazione preventiva semi-definitiva. Che colpiva tutti, fascisti e comunisti e non allineati, in nome di un’ideologia della fermezza che certificava, al contrario, la capitolazione dello Stato alla barbarie, all'arbitrio e alla riduzione del diritto penale a strumento di guerra civile.

Fratoianni e Bonelli (quest'ultimo a sua insaputa, fino a ieri sera) candidano una beniamina delle piazze che “quando c’è da menà, se mena” – del resto chi non porta con sé alle manifestazioni un manganello retrattile per esigenze di difesa personale? – e lo fanno con un senso più burocratico che fanatico di affiliazione a quella filosofia del mondo e della politica e a quella solidarietà con gli oppressi, che distingue casuisticamente il colore della divisa degli oppressori.

AVS, insomma, candida “una compagna”. I radicali candidarono una vittima, scegliendo proprio quella che appariva la più vittima di tutti, anche se tra le più lontane da loro. I radicali scelsero l’ethos repubblicano e mazzinianamente il dovere, gli antagonisti con seggio incorporato l’ethnos ideologico e togliattianamente la convenienza.

Prima, durante e dopo la candidatura di Negri, che scappato in Francia, d’accordo coi radicali, rifiutò di tornare per farsi arrestare, rompendo un patto d’onore – cosa che Tortora non fece pochi anni dopo, dimostrando la differenza tra un galantuomo e un imbroglione (anche al netto delle differenze tra un liberale e un comunista) – i radicali non hanno mai considerato il professore padovano, cui la persecuzione giudiziaria regalava un'invidiabile allure eversiva, una figurina del loro album di famiglia; semmai una delle tante vittime della malagiustizia, mafiosi compresi, a cui non l’amicizia per loro, ma l’amore per “la vita del diritto” imponeva di prestare soccorso. Lo stesso soccorso che i radicali avrebbero prestato, pochi anni dopo, al fascistissimo Paolo Signorelli, accusato alla rinfusa di quasi tutte le stragi d’Italia e uscito innocente e mezzo morto dalla galera.

I radicali inoltre fecero con Negri una scelta impopolare che costò un sacco di voti e di consensi, di equivoci e di polemiche. Facevano tanto i liberal-democratici gandhiani e candidavano un cattivo maestro della violenza! Invece rispetto alla bolla di quel fascismo anti-fascista di cui Ilaria Salis – non come sacra vittima in galera, ma come discutibilissima compagna in piazza – è una formidabile icona, tra fumogeni, occupazioni e missioni internazionaliste, i verdi-sinistri fanno una scelta elettoralmente ruffiana e parassitaria, apposta per superare l’asticella del 4%.

Insomma, se Ilaria Salis può somigliare a Toni Negri (speriamo di no, per lei), Bonelli e Fratoianni non somigliano per niente a Pannella. Somigliano a Salvini che candida Vannacci.