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Lo scontro tra Santoro e Calenda l’altro ieri a Di Martedì di La7 – il leitmotiv dell'Ali Khamenei dell’informazione antagonista è stato grosso modo (sintesi mia): “siete dei microbi parassiti, la mia piazza era più grande della vostra, che avete organizzato solo per lucrare attenzione” – illumina una verità molto diversa da quella che Santoro vorrebbe affermare.

La verità è questa: tutte le grandi adunate pacifiste della storia italiana nel secondo dopoguerra, proprio per il fatto di essere oceaniche, apparentemente unanimi, perfettamente rappresentative dello spirito della nazione, sono state delle repliche della piazza Venezia plaudente alle “decisioni irrevocabili”, cioè delle piazze plebiscitarie e conformistiche, irretite da mitologie di grandezza e di vendetta false e miserabili, insensibili o forse addirittura ignare delle ragioni della libertà e dignità umana e orgogliosamente contrarie a un’idea seria di cosa sia una democrazia e di quanto costi difenderla e conservarla.

Le piazze dei Partigiani della Pace stalinisti degli anni '40 e '50 contro la Nato, pagate da Mosca e organizzate dal PCI.

Le piazze degli anni '60, '70 e '80 del “meglio rossi che morti” contro l’integrazione atlantica, la minaccia nucleare e gli euromissili.

Le piazze del pacifismo miloseviciano degli anni '90 – e lì Santoro era già attivissimo, insieme alla Lega (alleanza che si ripete oggi in salsa putiniana) – mentre il macellaio serbo era intento a ripulire etnicamente la Federazione dell'ex Jugoslavia.

Infine le piazze anti-americane che, dalla prima Guerra del Golfo (1990) a oggi e massimamente dopo l’11 settembre 2001, si sono mobilitate contro gli Usa “gendarmi del mondo”.

Se quelle piazze pacifiste avessero vinto, il modello dell’ordine internazionale sarebbe stato quello Budapest 1956, Praga 1968, Kuwait City 1990, Sarajevo e Srebrenica 1995, New York 2001. Fortunatamente quelle piazze hanno perso e quanto sta succedendo miracolosamente in Ucraina – tutto l’Occidente unito contro una guerra di sterminio e di rapina, una frontiera opposta alla barbarie eurasiatica, perchè Odessa non diventi una nuova Aleppo e l'Ucraina una nuova Siria – è il suggello glorioso di quella sconfitta.

Non essere appartenuti a queste piazze pacifiste, averle disertate e combattute da posizioni progressiste, non avere frequentato quel Circo Barnum di buone coscienze a buon mercato e di ipocrisie retribuite, ha fatto guadagnare a molti esponenti della sinistra democratica – da Giuseppe Saragat negli anni ’40 e ‘50 a Marco Pannella fino dentro gli inizi del nuovo secolo – il titolo, largamente elargito, di “social-fascisti”. Ora tocca a Calenda e a quelli della sua “piccola” piazza antiputiniana, per cui la guerra si ferma (guarda un po’) fermando l’aggressore, non dando partita persa all’aggredito.

Nulla di nuovo sotto il sole, quindi, tranne che a tuonare contro i "bellicisti" non sono più Pietro Secchia e Giancarlo Pajetta, ma Michele Santoro e Giuseppe Conte, a conferma che la tragedia tende davvero a ripetersi come farsa. Ma quelle piazze minoritarie e irrise al cospetto delle grandi piazze pacifiste sono – grazie a Dio – la ragione per cui in Ucraina si lotta ancora per la libertà e non si negozia sul prezzo della schiavitù.

Sono le piazze clandestine per Matteotti, contro le piazze ufficiali per Mussolini.

@carmelopalma