Quota 100 come il Covid, Lega e sindacati come i No-Vax
Istituzioni ed economia
Se si vuole capire che cosa è successo al sistema pensionistico in seguito alle misure adottate dal governo giallo-verde nel 2018 (entrate in vigore col dl n.4 del 2019) può essere utile ricorrere ad una metafora che ci riporta al clima di questi ultimi due anni. Il sistema è stato contagiato dal covid-19 in forma grave e ne porta ancora le conseguenza sul suo apparato respiratorio, anche se è considerato guarito (ovvero sopravvissuto). Ma è praticamente impossibile recuperare il danno biologico che il soggetto trascinerà con sé per tutta la vita. Il governo è consapevole di questo stato di salute e dei limiti che hanno le possibili cure.
La proposta di passare dall’anno prossimo a quota 102 (su quota 104 è bene fare una riflessione supplementare) è un rimedio che dovrebbe servire a mitigare uno dei sintomi derivanti dalla scadenza di quota 100, il c.d. scalone, a causa del quale a parità di contribuzione – 38 anni – il requisito dell’età anagrafica passerebbe da 62 a 67 anni oppure la persona interessata dovrebbe attendere di maturare i requisiti per il pensionamento anticipato ordinario, a prescindere dall’età, a 42 anni e 10 mesi se uomo, un anno in meno se donna. In sostanza quota 102 dovrebbe servire a superare ‘’in avanti’’ quota 100 alla sua scadenza. Il fatto è che, se il sistema è infestato dagli esiti del covid-19, sono in campo anche i no vax: la Lega, i sindacati a cui si aggiunge come elemento di disturbo il presidente dell’Inps, il quale somiglia ad un prestigiatore che estrae dal cilindro proposte di riordino anziché conigli bianchi.
Maurizio Landini e compagni sono come quelli che vorrebbe curare il contagio con farmaci in uso per gli equini. Infatti, la loro proposta è talmente sballata che sembra intrisa di ivermectina. Con la faccia di tolla di chi sostiene che la terra è piatta, pretenderebbero – con quella che loro definiscono una riforma organica - di riportare il sistema indietro di una trentina di anni introducendo due vie d’uscita principali: 41 anni di versamenti a qualsiasi età oppure 62 anni di età e 20 di contributi. Sostanzialmente diminuendo, di quasi due anni per gli uomini, i requisiti del trattamento anticipato ora previsti (e bloccati fino a tutto il 2026), ma soprattutto – in via di fatto – riducendo di ben 5 anni l’accesso al pensionamento di vecchiaia. Una piattaforma contro il corso della storia, che sceglie di privilegiare l’anticipo rispetto all’adeguatezza del trattamento.
La proposta di Daniele Franco, per ora rimasta a bagnomaria, per le riserve della Lega (persino una persona seria come Giancarlo Giorgetti ha preso le distanze), rappresenta – per restare nella metafora – una sorta di stanza di rianimazione, ma ha dei difetti. Lo scalone verrebbe mitigato con due scalini intermedi: quota 102 (64 anni di età + 38 di versamenti) a partire dal 2022 e quota 104 (66 e 38?) dal 2023. Se tra uno scalino e l’altro non trascorressero almeno due anni, i soggetti che nel 2022 non raggiungessero i requisiti previsti, si troverebbero l’anno successivo intrappolati dal loro incremento; così passerebbero direttamente al regime di quota 104.
Poi viene spontanea un’ulteriore riflessione: che senso avrebbe prevedere una forma di pensionamento anticipato da maturare un anno prima dell’età di vecchiaia (67 anni)? Il problema non cambierebbe se – come si dice – fosse in corso un negoziato per inserire uno scalino intermedio: quota 103 (65+38) dal 2023 facendo scorrere quota 104 al 2024. Anziché uno scalone si aprirebbe un tunnel senza uscite fino al 2024.
Allo stato del confronto la posizione della Lega si limita a salvaguardare quota 100 nei settori privati mentre è d’accordo per quota 102 e 104 per i pubblici dipendenti. Il che rappresenta una marcia indietro ad usum Salvini. A gennaio di quest’anno, infatti, il gruppo del Carroccio alla Camera (primo firmatario Claudio Durigon seguito da tutti i maggiorenti) aneva presentato un pdl (AC 2588) nel quale all’articolo 2 veniva stabilito – come si legge nella relazione - di mantenere l'accesso alla pensione «quota 100» per i soggetti che svolgono i lavori usuranti individuati con i criteri già in uso ai fini dell'accesso all'APE sociale o alla pensione per i lavoratori precoci, eliminando però il meccanismo delle «finestre di attesa».
Posto che tali soggetti sono generalmente già destinatari del sistema misto di calcolo della pensione, si proponeva, pure, che anche tale prestazione fosse liquidata integralmente con il sistema contributivo. In sostanza, quota 100 sarebbe sopravvissuta soltanto per una platea ridimensionata (a tutela della quale intervengono altri strumenti) e con l’applicazione del ricalcolo contributivo.
Infine, ecco in campo il Tridico Campeador secondo il quale si potrebbe andare in pensione in anticipo solo con la quota sottoposta al calcolo contributivo, mentre l’altro pezzo, corrispondente agli anni in cui vigeva il metodo retributivo, sarebbe liquidato (e ricongiunto alla prima) al raggiungimento dei requisiti pieni e ordinari. Ciò porterebbe alla penalizzazione dei lavoratori più anziani le cui storia lavorativa si è svolta in prevalenza nell’ambito del retributivo. Peraltro non si capirebbe perché – in questo caso come in altri – questi lavoratori dovrebbero essere puniti perché la legge disponeva così. Come se il calco retributivo se lo fossero disposto da soli. E fosse una sorta di peccato originale.