Berlusconi Salvini grande

Io sono il fondatore del Comitato contro l’elezione di Walter Veltroni alla presidenza della Repubblica. Letteralmente esclusivo, il Comitato ha un solo aderente: me. E nell’approssimarsi dell’evento, e dunque del rischio (c’è ancora) che sia celebrata la sconfitta di questa mia militanza ingiustamente ostracizzata (chi diceva che a un gentiluomo non possono interessare che le cause perse?), mi domando per quale motivo io non abbia dato corso a iniziative analoghe in avversione al pericolo che lassù finisca, anziché il romanziere anti-odio, qualche buontempone di centrodestra. Me lo domando, come si dice, retoricamente, nel senso che un simil-Veltroni, ma nemmeno un simil-Franceschini, nemmeno un simil-D’Alema, un simil-Gentiloni, insomma qualcosa di presentabile pur non ostante il mio pregiudizio, dall’altra parte semplicemente non c’è.

Oh, attenzione, facciamo a capirci. Quelli, nel mio Stato, tutt’al più, e con qualche fatica, farebbero i bidelli o diventerebbero i punti di riferimento fortissimi di tutti gli ortomercati, a tirar giù cassette di broccoli e pummarola; ma, nell’attesa che lo Stato mio si impianti, c’è quest’altro: e in quest’altro, dopotutto, quelli darebbero luogo a un avvicendamento un po’ banale, routinario e certamente modesto, ma insomma non increscioso. Ma dall’altra parte? Dall’altra parte non c’è neppure materia di ipotesi.

Non arriverei a escludere Berlusconi per il motivo a suo tempo vagheggiato dal mio amico Vittorio Feltri, e cioè che l’Italia non è ancora pronta per i padiglioni quirinalizi imbottiti di mignotte: direi semplicemente che almeno a un poco di accreditamento diffuso il presidente della Repubblica dovrebbe poter ambire, e Berlusconi - non c’è santi - non può coltivare quell’ambizione.

Ebbene: escluso lui? Il niente. Perché a destra manca non dico una personalità, ma persino il profilo appena accennato di un’esistenza politica che non degradi l’eventualità a scenetta da cinepanettone. Ed è la sconfortante ed esemplare riprova della responsabilità somma di uno schieramento politico che, a ormai trent’anni dalla propria legittimazione al governo, si è distinto nell’indistinzione di una mediocrità terrificante, che all’incultura e alla dabbenaggine di sinistra ha opposto ora un vacuo perbenismo reazionario, ora la brutalità della visione bifolca lungimirante verso la meglio società dei Family Day e dei barconi affondati.

Da quell’esercito di incravattati alla meglio, scappati non di casa, ma dalla tavernetta brianzola o dal quartierino meridionale in pretesa di riscatto, assistiti dalla guarnigione di mogli del liberalismo in punta di mèche, da lì non è venuto - perché non poteva venirne - neppure un conato di decenza culturale, politica, istituzionale, capace di preannunciare e poi costruire quel che si dice un nucleo di classe dirigente.

E se vale per le liste politiche, per i giornali, per le televisioni, dove pressapoco i cosiddetti valori del cosiddetto centrodestra si riaffermano nel ripudio dei capelloni e della minigonna, con l’opinionismo liberale adunato nel sostegno a una che strilla il suo orgoglio di madre cristiana e all’altro che si affida alla Vergine Maria per riceverne i pieni poteri, se vale insomma per l’amministrazione ordinaria delle cose pubbliche, allora figurarsi quando in questione è di mandare qualcuno a rappresentare l’unità nazionale. Voglio dire, seriamente: chi ci mandi? Qualche accademico della ruspa? Qualche economista della nocciola autarchica? Qualche crociato che ci difende dagli usurai di Bruxelles? Ecco perché, verso destra, non c’è bisogno di comitati contro: perché sarebbero contro niente.