Il post Appendino. Per Torino serve un'alleanza che guardi al futuro dell'Europa
Torino ha rappresentato nella storia d'Italia una sorta di apripista. È stata la prima capitale d'Italia; la prima città dell'industria italiana, la prima città a ospitare un processo contro le BR negli anni bui del terrorismo, la prima città dei diritti. Oggi abbiamo davanti la possibilità di costruire, proprio qui, una nuova era di sperimentazione politica e di costruzione di futuro, con il cuore e la testa ben saldi in Europa. Per farlo occorre il coraggio, la forza e la tenacia di tagliare cordoni ombelicali che ci legano al passato più o meno recente.
Dobbiamo innanzitutto decretare una discontinuità netta con il passato recente. La Giunta di Chiara Appendino ha fallito quasi su tutto e ha contribuito non poco a far chiudere la città su se stessa, rischiando persino di danneggiare il proseguimento dell'opera strategica più importante: la TAV. Chi, anche da destra, ha votato cinque anni fa al ballottaggio per Appendino, oggi si mangia le mani perché quel voto ha contribuito non poco ad un peggioramento delle condizioni economiche e sociali di Torino, in una sorta di decrescita infelice che ha pervaso tutte le fasce della popolazione, anche dal punto di vista culturale e psicologico.
Chi è arrivato urlando in modo letteralmente indecente "Onestà! Onestà!" oggi torna a casa. Sbaglieremmo tuttavia a derubricare quanto accaduto come un incidente della storia. La "rivolta" contro il sistema espressa malamente con il voto ai 5 Stelle rappresentava e rappresenta un campanello d'allarme che suona per tutte le democrazie occidentali dove, soprattutto nelle aree periferiche e rurali, si sono fatte avanti rivendicazioni dal carattere squisitamente populista, convogliate in ogni Paese da forze di estrema destra o antisistema.
Oggi è chiaro che chi è arrivato al potere contro il sistema è stato fagocitato e digerito dal sistema stesso, divenendone parte e spesso divenendone la parte peggiore. Ma la discontinuità che dobbiamo conquistare non è solo quella con il recente passato ma anche con il passato più remoto. Non perché vi sia da prenderne le distanze ma perché l'era di cambiamento (in meglio) determinata innanzitutto dai mandati del Sindaco Castellani, poi da Chiamparino e Fassino, è terminata.
È compiuta l'era che ha portato Torino ad abbandonare l'unica vocazione manifatturiera, colorando buona parte del grigio che la caratterizzava, imponendosi sullo scenario italiano ed europeo come città capace di attrarre turisti per le sue bellezze. Dobbiamo tagliare il cordone ombelicale con alcune élite della città che sono legate alla politica e che hanno sfruttato a loro esclusivo vantaggio il legame con la politica; dobbiamo abbandonare vecchie logiche e vecchi metodi dal sapore partitocratico per aprire le finestre e fare circolare l'aria fresca delle competenze, della passione, della speranza e della capacità di lavorare assieme in una squadra eterogenea ma coesa. Oggi serve una svolta europea; serve progettare la nuova Torino, connessa, umana e sostenibile come una città delle opportunità per i 100.000 ragazzi che vengono a studiare e che sono poi costretti a cercare fortuna altrove.
Una svolta che sappia recuperare i decenni perduti sulle politiche relative ai trasporti realizzando e mettendo in progetto le linee 2 e 3 della metropolitana per costruire ponti e assi di contatto e commistione tra le periferie e con il centro. Una svolta che guardi a Milano e a Genova come alleate di un percorso da fare insieme. Una svolta che dia concretezza e forza alle politiche di area vasta sull'intera area metropolitana. Una svolta che porti la cultura, la ricerca, la formazione, il turismo e lo sport ad essere pilastri dell'economia, insieme alla manifattura che resta uno degli assi portanti su cui puntare. Per costruire questa svolta serve abbandonare populismi e demagogie di ogni colore e costruire un'alleanza che guardi al futuro, capace di dire la verità agli elettori e di arginare la svolta verso la peggiore destra che abbiamo conosciuto; una destra che oggi prova a presentare una faccia pulita che è solo una maschera.
È per tutto questo che mi sono candidato alle primarie del centrosinistra torinese; per questo che da mesi sto andando in ogni angolo della città, parlando con cittadini, esponenti della cultura e della cosiddetta società civile, con le forze politiche. Qui, da questa città, da questa porta per l'Europa, capace nel passato di essere apripista, credo possa e debba nascere una nuova era politica. La responsabilità mia e nostra è quella di provarci fino in fondo. La responsabilità di altri, a cominciare dal Partito Democratico, è quella di avere il coraggio della rottura con il passato per costruire insieme il futuro.