Che coraggio, a votare Sì
Istituzioni ed economia
A quelli che voteranno consapevolmente "sì", e ce ne sono diversi anche autorevoli, occorre riconoscere il valore del coraggio. Ci vuole infatti un certo coraggio, e uno straordinario ottimismo, per ritenere secondari rispetto alla scelta alcuni possibili esiti e scenari che ne deriveranno.
Per esempio la mancata riforma della legge elettorale, che nel formato attuale porrebbe seri problemi di rappresentatività delle regioni più piccole in Senato (dove con ogni probabilità ci sarebbero solo i primi due partiti tra gli eletti), e che anche per le regioni più grandi creerebbe una soglia di sbarramento implicita molto alta. Nessun precedente ci autorizza a credere che il Parlamento trovi modo di creare una legge elettorale adeguata (per esempio copiandola da quei Paesi il cui rapporto tra eletti ed elettori è stato preso come riferimento): al contrario, solo un atto di fede quasi temerario può giustificare il disinteresse al riguardo, e la fiducia con cui la si dà per scontata.
L'eventuale riforma potrebbe comunque garantire sia una adeguata rappresentanza delle minoranze che una certa stabilità delle maggioranze? Non ci costa nulla sognare, perciò facciamolo: questa sembra essere la scommessa dei "sì", e prendiamo per buono che accada (ma lo ripeto, nessun precedente mi pare autorizzi questa convinzione). Il numero comunque ridotto di parlamentari rende più facile possibili modifiche a qualsiasi genere di legge, incluse quelle costituzionali, e il superamento di maggioranze rafforzate necessario per alcune altre deliberazioni (per esempio l'elezione della Presidenza della Repubblica).
Non è un caso che la Costituzione indichi sia il numero di eletti che le maggioranze rafforzate necessarie: c'è un collegamento tra le due cose, ancora più evidente se si ricorda che la Carta del 1948 prevedeva un numero variabile di eletti, basato su un rapporto fisso con gli elettori rappresentati. A stare alla volontà dei padri costituenti, oggi dovremmo avere quasi 800 deputati, non i 400 che verranno (1 ogni 80.000 elettori contro 1 ogni 150.000 dopo la riforma, oggi siamo a 1 ognj 96.000) e un numero di senatori di poco più basso dell'attuale (1 ogni 200.000 nel 1948, oggi siamo a 1 ogni 190.000, mentre in futuro sarà uno ogni 300.000).
Far finta che le maggioranze rafforzate possano essere slegate dal numero di eletti vuol dire solo due cose: non conoscere l'aritmetica o disinteressarsi delle garanzie costituzionali a tutela delle minoranze. Non è un buon servizio alla democrazia, in entrambi i casi.
Ma poniamo pure di vivere in un Paese in cui le maggioranze spontaneamente usino la loro forza senza abusarne (stiamo fantasticando, che ci vuole? Basta ignorare la storia nazionale, mi pare sia un tratto abbastanza comune tra gli elettori).
Quale sarebbe alla fine il vantaggio di avere meno eletti? Certo non quello di una migliore qualità: non c'è nessun automatismo tra le due cose, sarebbe come sostenere che un piatto di pasta con 10 rigatoni sia meglio di uno con 30, o che sia più probabile che il cuoco faccia maggiore attenzione nel prepararlo.
Ancora meno certo quello di un minore costo complessivo: una volta ottenuto un peso maggiore nella tenuta delle maggioranze, niente vieta agli eletti di ritoccare i propri emolumenti, magari nelle voci accessorie e meno visibili, con la scusa di un accresciuto carico di lavoro.
Probabilmente quello che si otterrebbe è un maggiore controllo dei parlamentari da parte delle segreterie (o dei capi politici, qualunque titolo abbiano). Diciamo pure che già oggi i parlamentari votano spesso secondo ordini di scuderia a prescindere dal merito delle discussioni: da questo punto di vista, il vincolo di mandato forse non servirà nemmeno introdurlo. Mentre all'improvviso si potrebbe dire che, siccome i cittadini sono poco rappresentati, sia necessario introdurre i referendum propositivi o eliminare il quorum per quelli abrogativi.
E per effetto delle maggioranze rafforzate più facili da raggiungere, le modifiche costituzionali adeguate allo scopo potrebbero avvenire da un momento all'altro, magari per favorire la nascita di un governo (come è avvenuto per il taglio dei parlamentari) o la sua prosecuzione.
Sono scenari improbabili? Non saprei dirlo: mi limito a far notare che molte cose che ritenevamo "impossibili" trent'anni fa oggi siano non solo possibili ma già sorpassate in peggio.
Sono motivi sufficienti a dire "no" a questa riforma? Non credo che bastino.
Ci sarebbe parecchio da aggiungere, ma ognuno può fare delle ipotesi per conto suo su quello che potrebbe succedere.
A chi oggi (legittimamente) approva un taglio dei parlamentari, un consiglio mi pare tuttavia necessario: non vi venga in mente di gridare al tradimento della Costituzione, se un giorno qualcosa di simile (o di peggio) dovesse diventare realtà.
Verrei a cercarvi, per ricordarvi le vostre responsabilità.