E se non ci fosse un commissario Ue italiano? Potrebbe essere una buona cosa
Istituzioni ed economia
Forse c’è un aspetto della vicenda della crisi di governo che merita un approfondimento, perché (sebbene citato di sfuggita tra le molte questioni aperte che dovrà affrontare il nostro Paese nei prossimi mesi) può essere un utile grimaldello per i federalisti per sbloccare l’impasse istituzionale in cui ci troviamo. Mi riferisco alla nomina del Commissario europeo, che dovrà essere comunicata entro il 26 agosto.
All’interno del Trattato di Lisbona, che regola il funzionamento dell’Unione Europea, l’articolo 9D al comma 5 recita:
“A decorrere dal 1o novembre 2014, la Commissione è composta da un numero di membri, compreso il presidente e l'alto rappresentante dell'unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, corrispondente ai due terzi del numero degli Stati membri, a meno che il Consiglio europeo, deliberando all'unanimità, non decida di modificare tale numero.
I membri della Commissione sono scelti tra i cittadini degli Stati membri in base ad un sistema di rotazione assolutamente paritaria tra gli Stati membri che consenta di riflettere la molteplicità demografica e geografica degli Stati membri. Tale sistema è stabilito all'unanimità dal Consiglio europeo conformemente all'articolo 211bis del trattato sul funzionamento dell'unione europea.”
Cosa vuol dire, in altri termini? Che non esiste più (già da 5 anni) l’obbligo di avere un rappresentante per ogni Paese all’interno della Commissione. Se anche nella scorsa legislatura si è provveduto in senso diverso è stato per l’unico scopo di accontentare ogni Stato membro con una sedia a Palazzo Berlaymont, senza troppe discussioni. Ora però la difficoltà oggettiva per il governo italiano di nominare un proprio commissario da sottoporre all’approvazione del Parlamento può essere l’occasione per Ursula Van der Leyen di rompere con gli equilibrismi tradizionali e innovare decisamente, chiamando gli Stati membri al rispetto del Trattato che essi stessi hanno firmato 10 anni fa.
Ma perché dico che sarebbe importante procedere così? Perché forse sarebbe l’inizio della fine per quella lettura del ruolo dei Commissari che va contro lo spirito e la lettera dei Trattati.
All'articolo 245 infatti si legge che:
"I membri della Commissione si astengono da ogni atto incompatibile con il carattere delle loro funzioni. Gli Stati membri rispettano la loro indipendenza e non cercano di influenzarli nell'adempimento dei loro compiti. [...]"
Quando da qualche parte si indica la nazionalità del commissario come uno strumento a favore del governo che rappresenta, ci si dimentica spesso che non sempre l'appartenenza politica è la stessa e che in ogni caso il Commissario ha giurato solennemente davanti alla Corte di Giustizia di essere indipendente. In Italia non diamo molto peso alle parole, tantomeno in relazione ai fatti che le seguono, ma altrove fior di carriere politiche sono state stroncate dall'opinione pubblica per molto meno.
È allora importante che finisca al più presto questo spirito di sfiducia e sospetto verso i Commissari di diversa nazionalità, come se la Commissione fosse l'ennesimo organo intergovernativo, invece che il primo vero organo "comunitario" fin dalle origini. Una Commissione più snella vuol dire anche che ogni governo non potrà più fare nomi che siano semplicemente "comodi" rispetto al proprio equilibrio interno, ma non pienamente all’altezza del ruolo da ricoprire: perché a quel punto scatterebbe una competizione per garantire profili alti, a cui difficilmente il Presidente della Commissione vorrebbe rinunciare.
E questo, finalmente, vorrebbe dire rendere la Commissione un organo più politico, capace magari di imporre la propria visione (quantomeno “comunitaria”, se non federalista tout court) contro i meccanismi intergovernativi che spesso paralizzano le decisioni da parte del Consiglio.
Ritengo comunque buona la proposta rivolta da Cappato a Conte di nominare un federalista: ma significherebbe comunque continuare con una Commissione ipertrofica e incapace di vincere il clima di sfiducia che regna tra popolo e popolo, tra governo e governo.
Per l’eterogenesi dei fini, la vittoria della Lega che sembra aver posto fine alla vita del governo Conte può essere in ogni caso una ghiotta occasione per i federalisti: una bella vittoria di Pirro, per chi voleva un Commissario capace di “cambiare l’Europa”.