zingaretti grande

Secondo Zingaretti l’Europa sarebbe “uno strumento per difendersi dalla globalizzazione”. Dopo pochi mesi il segretario del Pd torna a parlare di globalizzazione e sempre in termini critici, come qualcosa di minaccioso. Le parole sono importanti, e quello di Zingaretti é un errore significativo, culturale prima ancora che di lettura economica. La globalizzazione - non ci stancheremo mai di ripeterlo - ha ridotto le disuguaglianze, ma ha obbligato i singoli paesi a riformarsi per essere più competitivi all’interno del nuovo quadro globale.

L’Italia non lo ha fatto, non ha fatto le scelte necessarie per essere un paese più moderno, efficiente e soprattutto veloce (e questo anche a prescindere dalla globalizzazione: vedi, per esempio, il taglio della spesa improduttiva, la riduzione del debito, la revisione dei livelli territoriali di governo, lo sviluppo tecnologico). Ma l’Italia non solo non si è riformata, non solo non ha fatto e non fa nulla per guadagnare velocità, per correre di più: l’Italia ha fatto addirittura l’esatto opposto. Aumentando la spesa, aumentando il debito, e non ponendosi alcun obiettivo di reale contrasto dell’analfabetismo funzionale. Al contrario, ha visto alimentarsi e consolidarsi una subcultura di massa che non riconosce più alcun primato intellettuale, e che ne demolisce anzi le stesse premesse sociali.

Così non solo si rallenta, si torna persino indietro. In ogni caso, anche al di là di queste riflessioni, la globalizzazione è la realtà solida di questo mondo attuale, è la struttura stessa e al contempo il “campo da gioco” della contemporaneità, esito di un processo comunque non reversibile. Ed é un segno del progresso, comunque la si veda. Va gestita, va ben interpretata (con il ricorso alle giuste politiche, come detto), ma non può e non deve essere vista o sentita come minaccia. Perché equivarrebbe a dire che le invenzioni o le rivoluzioni tecnologiche, nel corso della storia, siano state, in sé, un danno. O un pericolo. Forse possono esserlo state per chi non le ha capite, o per chi non ha voluto capirle. Ma quella di giocare con la paura della modernità non è mai stata, in nessuna epoca, una buona soluzione.

L’idea che va data dell’Europa non è pertanto di strumento di difesa da una minaccia che non esiste; semmai va spiegata come possibilità comune di cavalcare, in una logica di comunità, le grandi opportunità del presente globale. Che sono certamente anche i suoi mercati commerciali, ma non solo. Viviamo un’epoca di straordinaria evoluzione tecnologica, in cui il sapere e la conoscenza sono elementi che assumono forme e valori assoluti ed inediti.
Il vero rischio, la vera potenziale fonte di ineguaglianze del 21° secolo, sta semmai proprio qui: nella possibilità che questa conoscenza e questo sapere si concentrino in poche mani.

L’Europa può essere un argine decisivo a questo pericolo, a patto però che i suoi protagonisti nazionali marcino uniti e consapevoli che il tema dello sviluppo tecnologico e culturale è dirimente. A partire dai singoli contesti nazionali. E non in antitesi alla globalizzazione, o in una chiave difensiva da essa, come suggerisce Zingaretti; ma, al contrario, dentro la logica del globale, esaltandone la portata innovatrice, cogliendone le possibilità concrete per fare di più e meglio. Insomma l’Europa è uno strumento ambizioso, che serve per provare a vincere - tutti insieme - la partita che quel “campo da gioco” ospita quotidianamente, in ogni angolo di mondo. Uno strumento che è anche capace di proteggere, certo, ma lo fa appunto nella misura in cui si colga e valorizzi quell’ambizione a “fare di più” e a giocare, gli uni per gli altri, la stessa partita. È un pressing a tutto campo, per capirci, non un è catenaccio.
Serve a difendere, insomma, solo nella misura in cui stia tutti un po’ più avanti, progredendo verso la porta avversaria.

La “difesa” intesa in senso stretto, invece, è nell’equilibrio e nel giudizio dei conti interni nazionali, in un mercato del lavoro aperto e moderno, in un fisco giusto. Ma al netto di una doverosa e necessaria armonizzazione dei contesti, si tratta di questioni che oggi competono ai singoli paesi, e non che non può risolvere l’Europa al posto loro. Lo farà o potrà farlo il giorno in cui saremo una vera confederazione, quando saremo gli “Stati Uniti d’Europa”. E Dio solo sa quanto speriamo di vedere quel giorno, ma fino ad allora dobbiamo dire le cose come sono, non vendere fumo, non cavalcare paure immotivate e promesse ambigue, peraltro mescolandole in un minestrone confuso. Per dirla ancora come nel calcio, la palla va giocata, non buttata in tribuna per guadagnare tempo. Ammesso che uno la partita voglia provare a vincerla, e non accontentarsi di pareggiarla

@gabri_molinari