sassi bilancia 611

L’ascesa di Salvini pare inarrestabile. I voti della Lega, confinati al Nord, hanno iniziato a piovere anche da Sud. Se il sequestro di tutti i conti diverrà operativo, la nuova “Lega per Salvini premier” (che peraltro già esiste) avrà una struttura federale in cui saranno presenti tutte le regioni italiane, non solo quelle sopra Roma. Ma, ricordiamolo, l’asse portante dei voti della Lega resta ancorato nel nord produttivo, anche se apparentemente la secessione e il federalismo feroce sono spariti dal radar. Eppure, non è passato poi tanto tempo dai referendum del lombardo-veneto che chiedevano maggiore autonomia.

L’aspetto fondamentale della retorica leghista è sempre stato “Roma ladrona”. Il punto, in buona sostanza, è sempre stato economico e fiscale. Inutile negare, sarebbe stupido farlo, che l’assetto fiscale dello stato italiano (con buona pace dei neoborbonici) si poggia su un continuo e largo trasferimento sull’asse nord sud. Le regioni del nord finanziano il deficit di quelle del sud. È vero? Decisamente sì.

Un cittadino lombardo versa, ogni anno, oltre 5000 euro di tasse pro capite, più di quanto non riceva indietro come servizi e trasferimenti. Una tale discrepanza, che vale oltre 50 miliardi per la Lombardia, 18 per l’Emilia Romagna, 15 per il Veneto, 8 per il Piemonte, sarebbe sostenibile se intesa come fondo di coesione: il tentativo di aiutare le regioni del Sud a crescere e chiudere il gap di Pil e redditi pro-capite. Non è così e, forse mai come ora, la questione dovrebbe essere centrale nell’ottica di una riorganizzazione dello Stato. In termini fiscali e di welfare molto più che di devoluzione di competenze.

Entriamo più a fondo nel meccanismo di formazione di questo enorme residuo fiscale: a cosa è dovuto? Nella retorica vetero-leghista tutta questo enorme somma di denaro finisce sprecata nelle siringhe che in Calabria vengono pagate mille volte più che in Lombardia. Come potrete immaginare, una assurdità totale.

C’è un bellissimo articolo di Lodovico Pizzati su noiseFromAmeriKa di Gennaio che ci mostra un dato sorprendente: le regioni del centro-sud nel loro complesso sono sostanzialmente in equilibrio fiscale se ci basiamo esclusivamente sulla spesa che possono amministrare direttamente, ossia se eliminiamo dal residuo la spesa previdenziale, il servizio del debito pubblico e la spesa per la Difesa (concentrata dove ci sono più caserme, ad esempio). Per dirla ancora meglio, se eliminassimo la sola spesa previdenziale, ci sarebbero da finanziare solo 9 miliardi. Tutto il resto del residuo negativo del sud, dunque, è addebitabile alle pensioni, cioè alla differenza tra spesa pensionistica e contributi versati. Per maggiore chiarezza, esiste una differenza tra il totale del residuo delle regioni in attivo e di quello delle regioni in passivo, corrispondente alle spese del governo centrale. Non sono comprimibili e non sono interessanti per la valutazione perché sarebbero simili anche se ci fosse uno stato secessionista. Sono a carico del nord, in buona sostanza, ma lo sarebbero lo stesso. I calcoli dei residui, anche per questo motivo, non sono univoci. Ma come segnala Pizzati, sono più che sufficientemente dettagliati per la nostra valutazione.

Non è dunque un trasferimento tra amministrazioni che crea il grosso del deficit al sud ma un trasferimento tra cittadini. L’inefficienza della pubblica amministrazione del sud pesa principalmente sul livello dei servizi erogati, mentre il sottosviluppo (la scarsa occupazione, l’emigrazione, l’età media, le pensioni sociali) sono la causa dei trasferimenti ingenti da nord a sud.

La morale dovrebbe essere evidente fin da subito: il riequilibrio non può passare per ulteriori trasferimenti fiscali a nord (come quelli richiesti da Zaia e Maroni) perché questi avverranno solo attraverso altre tasse o altro debito (che ad oggi è pagato dal nord). L’unica chance di ridurre il gap e lasciare che il nord produttivo non arretri rispetto ai competitor a causa degli eccessivi trasferimenti a sud è affrontare il tema pensionistico, ripensare il welfare, rilanciare veramente il sud. E cosa fa, invece, questo governo: ulteriori spese pensionistiche (che aggraveranno, indovinate un po’, il gap). Quota 100, che costa secondo Boeri 8 miliardi, andrà a vantaggio principalmente di maschi del nord, come segnalato già mesi fa da Giuliano Cazzola. Ma questo non serve a riequilibrare nulla, poiché aumenta comunque il gap fiscale al sud senza diminuire il surplus al nord (comunque si finanzi l’ulteriore spesa, sarà comunque il nord a pagarla di più).

Non è l’unica: è affiancata dalle proposte grilline di taglio delle pensioni elevate (a prescindere, senza valutazione della loro congruità). Indovinate dove sono localizzate la stragrande maggioranza di queste erogazioni: a nord, ovviamente. La Lega, suffragetta di quota 100, ha proposto anche di abbassare le tasse agli anziani che andassero a Sud a vivere. Indovinate cosa avverrebbe: ma certo, più soldi del nord a pagare pensioni (e consumi) a Sud. Aumentare i trasferimenti a sud non solo crea ulteriore residuo fiscale ma non fa nulla per cercare di colmarlo: poiché gli interventi contenitivi della spesa pensionistica (che, ad esempio, possano valutare alcuni aspetti per le future erogazioni relativi allo stesso principio delle c.d. gabbie salariali) non servono a molto se non sono affiancati a un ritorno delle politiche per il lavoro: meno spesa ma più lavoro e dunque più contributi versati perché il welfare a sud sia più sostenibile. Il continuo deflusso di giovani sta rendendo irrecuperabile la situazione e fa bene, forse, chi dice che solo in Europa e in un contesto europeo allargato esiste ancora la possibilità di tenere insieme le due anime del paese.

Eppure, mi chiedo, un tempo la Lega era la Lega Nord, amica delle sue terre produttive. Devono aver cambiato idea, chissà che tra Varese e Treviso se ne accorga qualcuno. Son lontani i tempi della riforma previdenziale Maroni, che innalzava l’età pensionabile. Eravamo giovani, ma se continuiamo così rischiamo di non poter invecchiare mai.