Ponte Morandi: gli alibi italiani e la normativa europea
Istituzioni ed economia
Il crollo del Ponte Morandi non ha risparmiato nessuno. Tra accuse, minacce e selfie, dalle macerie è emerso il peggio della nostra politica e della nostra umanità.
“Io penso che siano state dette troppe inesattezze e troppe bugie in questi giorni, bugie che anche disonorano i morti”. Così l’ex ministro dei trasporti Delrio dal Meeting di Rimini lo scorso 20 agosto. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza sulla base di documenti ufficiali della Commissione europea e del suo ex dicastero.
“In primo luogo non esiste il tema … La convenzione risale a diversi anni fa.”
In principio furono le privatizzazioni. La situazione dell'A10 non è isolata ma generalizzata a tutte le autostrade italiane che, dopo le privatizzazioni degli anni ‘90 (rese necessarie dalla mancanza di fondi pubblici), sono state rinnovate per molti anni senza gara d'appalto, in barba alle norme europee. Ad esempio, la proroga per ben 18 anni della concessione alla Società Autostrada Tirrenica p.A. per l’A12 è costata il rinvio dell'Italia alla Corte di giustizia UE nel 2017.
Autostrade per l’Italia (ASPI) aveva firmato con l’Anas il 12.10.2007 la Convenzione Unica per la concessione di circa 2.854 km di rete autostradale, con durata dall’8.6.2008 al 31.12.2038. Poi arrivò il decreto “Sblocca Italia” n. 133 del 12.9.2014, convertito in legge n. 164 dell’11.11.2014. Il M5S e la Lega Nord votarono contro la legge di conversione (sulla quale la Boschi aveva posto la questione di fiducia al Senato). Il M5S si opponeva alla proroga della concessione autostradale al gruppo Gavio-SIAS, secondo maggior concessionario dopo ASPI, indicato come finanziatore del PD. Perché invece si diceva che i Benetton (i maggiori azionisti dell'Atlantia, controllore di ASPI) finanziassero la Lega Nord. Ma il 14 agosto è caduto un viadotto di ASPI, e quindi cambio di bersaglio.
“Una delle tante inesattezze è il fatto che noi abbiamo prorogato di 4 anni – dal ’38 al ’42 – la concessione. Questa è una bugia, nel senso che noi abbiamo avuto l’autorizzazione da Bruxelles per procedere.”
L’autorizzazione da Bruxelles, ovvero dalla Commissaria UE alla Concorrenza Vestager, arrivò su richiesta del governo italiano nel quadro di una procedura per aiuti di Stato relativa al Piano d’investimenti autostradali, avviata nell’agosto 2014 con allora ministro Lupi. A quanto si legge nella decisione finale della Commissione europea, la richiesta dell’Italia metteva al primo posto la proroga delle concessioni autostradali (senza gara d’appalto) per alcuni anni, al fine di consentire di “ammortizzare” una serie di investimenti (in corso e nuovi). Allo stesso tempo, il Piano prevedeva la fusione di alcune concessioni e la fissazione di un tetto per i pedaggi autostradali.
L’accordo di massima fu raggiunto il 5.7.2017, sotto il dicastero Delrio, e già prevedeva una proroga di quattro anni. Il ministro, appena un anno fa, salutò con soddisfazione il raggiungimento di un accordo definito “storico” dopo mesi di trattative. Ad esso doveva seguire entro due mesi la notifica di aiuti di Stato da parte dell’Italia. Questa comunicazione giunse il 13.10.2017, e di qui cominciò un botta e risposta con la Commissione, che conduceva l’inchiesta di accertamento.
Il Piano finale, presentato dall’Italia l’8.2.2018, proponeva la proroga delle concessioni autostradali interessate nell’intento di recuperare i costi degli investimenti da intraprendere su un più lungo periodo rispetto a quanto previsto nei contratti originali, pur mantenendo le tariffe socialmente sostenibili per gli utenti. Ma questo, secondo la Commissione, avrebbe potuto pregiudicare la concorrenza. Quindi il Piano fu convalidato ad alcune condizioni, tra cui che l’estensione delle concessioni fosse limitata, e che la durata della concessione alla SIAS per l’A33 fosse addirittura ridotta. La decisione finale del 27.4.2018 (quattro mesi prima del crollo del ponte Morandi) dà il via libera alla proroga senza gara d’appalto della concessione all’ASPI dal 2038 al 2042, e alla SIAS fino al 2030.
“Siccome ci fu una discussione nel 2014 – come sa bene Maurizio [Lupi, ndr] – sulla relazione tra gli allungamenti di concessione e Bruxelles, io quando divenni ministro decisi di scegliere una strada leggermente diversa, cioè di avere prima un giudizio di Bruxelles sulle compensazioni.”
La proposta originaria è stata inoltrata alla Commissione europea nell’agosto 2014, quando Lupi era ministro dei trasporti. Dopo qualche settimana, il governo varò il decreto “Sblocca Italia”, poi convertito in legge. Delrio succedette a Lupi solo il 2.4.2015. La legge “Sblocca Italia” prescriveva che la proroga delle concessioni autostradali senza gara, configurando un potenziale aiuto di Stato, dovesse passare per il previo assenso della Commissione europea e inoltre prevedere nuovi investimenti da parte dei concessionari, oltre alla realizzazione degli investimenti già previsti nelle concessioni in corso (norma abrogata dal decreto legislativo n. 50/2016 - Codice degli appalti, che recepiva le direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE).
“Per evitare le sovracompensazioni noi abbiamo fatto l’accordo con la Verstager.”
L’accordo rappresenta l’esito di una procedura obbligata nell’ambito della normativa europea sulla concorrenza, ai sensi dell’articolo 108 del Trattato sul Funzionamento dell’UE. In questo quadro, l’Italia aveva spiegato alla Commissione europea che eseguire il Piano d’investimenti sotto il vigente regime contrattuale, avrebbe comportato aumenti tariffari complessivi, per ASPI, del 46% per il periodo 2017-28, e per SIAS in media del 58% per il periodo 2017-26. Con l’accordo di aprile si stabilisce che i potenziali aumenti dei pedaggi non potranno superare il tasso d’inflazione maggiorato dello 0,5%.
“Ma quell’accordo non è mai diventato operativo perché richiede degli atti del governo.”
La decisione della Commissione europea di aprile consente all’Italia di iniettare 8,5 miliardi di euro in investimenti. Ma effettivamente non è ancora operativa perché a tal fine serve una modifica della convenzione, che deve essere approvata dal CIPE e formalizzata in un decreto interministeriale. Ma ora il governo esita ad adempiere agli obblighi concordati con la Commissione europea. Anzi, sembrerebbe che i pedaggi in alcuni tratti di autostrada siano già stati aumentati, contravvenendo all’accordo così a lungo negoziato e ponendo l’Italia al rischio una procedura d'infrazione.
Nel frattempo, in Liguria già il 16 marzo è stata indetta la gara d’appalto per la realizzazione dell'opera propedeutica a mare per un importo di 136,5 milioni di euro e una durata di 4 anni. E a maggio ASPI e il governatore Toti annunciavano di aver già espropriato i terreni, in vista di pubblicare entro fine anno tutti gli altri bandi. La realizzazione della Gronda richiede 10 anni di lavori per 4,3 miliardi di euro e 72 km di nuovi tracciati autostradali. La bozza di modifica della convenzione prevede che se i lavori non dovessero essere iniziati all’1.1.2020, la proroga della concessione verrebbe meno.
Sennonché, il governo pensa ora di revocare del tutto la concessione ASPI, da cui dipende la gestione non solo del tratto franato ma di oltre 2.850 km di rete autostradale italiana. Revoca che arriverebbe a bandi lanciati, proprietà espropriate e obblighi europei pendenti. Senza contare i danni economici per Atlantia, società quotata, che sta valutando l’impatto sul mercato e sugli azionisti non solo di un’eventuale revoca ma anche della pubblicità negativa di queste settimane, visti gli scossoni già subiti in borsa.
Senza contare i danni economici per Atlantia, società quotata, che sta valutando l’impatto sul mercato e sugli azionisti non solo di un’eventuale revoca ma anche della pubblicità negativa di queste settimane, visti gli scossoni già subiti in borsa.
“E quell’accordo era mirato a fare la Gronda di Genova, e a farla con i criteri e i parametri europei.”
La procedura di notifica di aiuti di Stato riguardava inizialmente un più vasto Piano d’investimenti autostradali, ma fu poi limitato alla concessione di ASPI per la sua intera rete (inclusa anche la realizzazione della Gronda a Genova) e a quella gestita da SIAS per A4 e A33, opere connesse alla realizzazione delle reti trans-europee dei trasporti (TEN-T).
Limitandoci all’ASPI, la decisione della Commissaria UE alla Concorrenza ricorda che i lavori della Gronda erano previsti già nella IV Convenzione Aggiuntiva del 2002 a modifica della convenzione originaria Anas, ma non furono mai attuati, si legge, per cause non imputabili al concessionario, ossia fondamentalmente perché le autorità italiane a vari livelli impiegarono 15 anni per approvarne il progetto definitivo.
L’opera, al vaglio del ministero dei trasporti dal 2016, era stata poi ripresa nell’Allegato al DEF approvato dal Consiglio dei Ministri l’11.4.2017, che prevedeva la realizzazione del nuovo “asse di Ponente”. Un intervento che si riteneva avere un effetto positivo sulla sicurezza dei tronchi in prossimità di Genova delle autostrade A7, A10 e A12. Il progetto definitivo fu approvato nel settembre 2017.
La Commissione europea, nella decisione di aprile, ha ritenuto che il Piano italiano darebbe un vantaggio illegale ai due concessionari e pertanto ha fissato alcuni correttivi, al fine di adeguarlo ai requisiti del mercato interno: la limitazione nel tempo della proroga delle concessioni, un tetto alla remunerazione del concessionario, sanzioni per ritardo o inadempimento e soprattutto l’obbligo di attribuire almeno l’80% delle opere con procedure di gara aperte, trasparenti e non discriminatorie.
“Abbiamo aumentato le manutenzioni dell’80%, però non è detto che le cose poi funzionino”.
La Commissione europea ha precisato che, quando le TEN-T sono gestite da privati, spetta al concessionario la responsabilità della sicurezza e della manutenzione. Anzi, le opere devono soddisfare precisi requisiti di sicurezza, fissati dalla direttiva europea 2008/96/CE. E rispondendo alle accuse di Salvini riguardo a presunti vincoli europei che impedirebbero investimenti in sicurezza, ha chiarito che le regole fiscali concordate a livello UE lasciano agli Stati membri la flessibilità di fissare le proprie specifiche politiche prioritarie, che potrebbero ben essere lo sviluppo e la manutenzione delle infrastrutture; inoltre, vi è flessibilità nel Patto di stabilità, e l'Italia ne è stato uno dei principali beneficiari.
La convenzione ASPI prevede l’obbligo del concessionario, tra l’altro, di mantenere e riparare tempestivamente le infrastrutture (articolo 3). Dal 2013 il concedente è il ministero dei trasporti, che conserva la supervisione delle opere.
Il Commissario UE al Bilancio Oettinger ha commentato che nell’ultimo settennato l’Italia ha ottenuto un totale di 14,5 miliardi di euro dall’UE, oltre al via libera di aprile a finanziamenti nazionali per 8,5 miliardi. Eppure, secondo fonti RAI, a fronte di utili per un miliardo di euro nel 2017, ASPI ha effettuato investimenti nel 2016 per 261 milioni, in calo rispetto al 2008 (299 milioni). Non stupisce, quindi che il Consiglio UE abbia raccomandato lo scorso maggio all’Italia di promuovere le infrastrutture mediante investimenti meglio mirati.
“Non c’è nessun atto segretato. Un parlamentare fa un accesso agli atti e riceve tutte le informazioni necessarie”.
La Convenzione ASPI è stata pubblicata recentemente sul sito del ministero dei trasporti, durante l’inchiesta sugli aiuti di Stato, per rispettare i parametri europei di trasparenza. Tuttavia, non integralmente. Manca, ad esempio, l’allegato N “Disciplinari per l’applicazione di sanzioni e penali”, tanto chiacchierato in questi giorni. Auspichiamo che qualche parlamentare raccolga l’invito di Delrio.