Matteo Renzi ha aperto, dalle pagine del suo sito, una discussione pubblica sulle linee guida che dovrebbero ispirare il suo JobsAct, ovvero la riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali. Qui il testo integrale oggetto del dibattito. Strade partecipa alla discussione, attraverso i suoi collaboratori più esperti. Come primo contributo, pubblichiamo alcune osservazioni di Mario Seminerio.

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La proposta di un sussidio universale non è inedita né rivoluzionaria. E' terribilmente matura per il nostro paese ma si è scontrata, si scontra e si scontrerà con l'assoluta pochezza delle risorse esistenti. Fermo restando l'impianto di welfare-to-work, con la revoca del beneficio per chi rifiuta una precedente offerta di lavoro, è ovviamente dirimente capire quanto dovrebbe durare tale sussidio. E questo è il punto dirimente, sul quale andrà tarato il reperimento delle risorse.

Inoltre, l'intera operazione implica la revisione complessiva di tutto il sistema di ammortizzatori sociali, ed il conseguente superamento dell'infausto principio di protezione del posto di lavoro anziché del lavoratore. Ciò implica dismettere un istituto come la cassa integrazione in deroga e ridisegnare quella straordinaria e pure quella ordinaria. Si pensi a precedenti tentativi di introdurre un sussidio universale di disoccupazione come l'ASPI, destinato a scontrarsi proprio con la limitatezza delle risorse disponibili. Pensiamo realisticamente di riuscire ad abbandonare la cassa in deroga? Forse sì, vista la crescente penuria di risorse. Ma la cosa non avverrà in modo indolore, se nel frattempo la crescita non sarà ripartita per attutire il colpo almeno parzialmente. Perché occorre essere consapevoli che, in assenza di domanda, anche la ristrutturazione del welfare e del sistema di formazione, reso permanente, non producono gli effetti sperati

Quanto alle altre potenziali coperture, male la solita retorica piuttosto logora sulle "rendite" (che si chiamano risparmio, nella quasi totalità dei casi), che promette o più propriamente minaccia, anche sotto le suggestioni di Davide Serra, di infliggere un altro durissimo colpo ai risparmiatori italiani, che già sono piagati dalla esplosione della fiscalità mobiliare di tipo patrimoniale sul conto titoli e depositi. Una fiscalità, giova ricordarlo, che sempre viene presentata come "spostamento" da voci imponibili (da patrimonio a reddito, ad esempio), ma che altrettanto regolarmente finisce col turare i buchi che si aprono. Renzi dovrebbe essere meno superficiale, su questo fenomeno che dura da troppo tempo.

Tutto ciò premesso, la stessa "provocazione" intellettuale di sforare la soglia del 3% dopo opportune riforme, che appare la scimmiottatura di quanto fatto dalla Germania nel 2003, sotto ben altro contesto, europeo e globale, restiamo convinti che non riuscirà ad andare da nessuna parte, per il pesante fardello di debito del nostro paese e perché siamo stati talmente "virtuosi" da rientrare in quel parametro con scarse o nulle riforme, da esserne ora prigionieri e non poter neppure contare su "alleanze" europee, visto che, ad esempio, la Francia è rimasta fuori parametro.