putin1

Con l’onestà intellettuale che da sempre la contraddistingue, Emma Bonino, dopo aver ammesso, senza se e senza ma, la sconfitta elettorale della lista Più Europa, ha definito il voto di domenica scorsa un vero e proprio tsunami. L’onda sovranista e populista che il 4 marzo ha travolto tutti i partiti moderati di ispirazione europeista, facendo trionfare Movimento 5 Stelle (32.7% alla Camera, 32.2% al Senato) e Lega (17,4% alla Camera, 17,6% al Senato), ha ridisegnato la geografia politica della nostra penisola, cancellando le roccaforti rosse del Centro, assegnando il Nord, con l’eccezione di Val d’Aosta (M5S) e Alto Adige (PD), alla coalizione di centro-destra a trazione leghista e il Sud, con consensi mai visti neanche ai tempi della DC, al Movimento di Grillo e Casaleggio.

I motivi di questo tsunami elettorale, con scosse telluriche persino superiori a quelle registrate all’epoca di Tangentopoli, quando il Paese dovette fare i conti con la crisi dei partiti tradizionali che avevano governato l’Italia nel secondo dopoguerra in una situazione di democrazia bloccata a causa del Fattore K (così il noto giornalista Alberto Ronchey definì nel 1979 il mancato ricambio delle forze politiche governative nei primi cinquant'anni dell'Italia repubblicana per via dello stretto legame tra PCI e Unione Sovietica), sono molteplici e costituiranno materia di studio per storici e analisti politici.

È evidente che di fronte a eventi epocali di siffatta natura la spiegazione non può essere monocausale. È stata la sommatoria di fattori diversi tra loro a innescare questo terremoto che ha sconquassato il sistema politico chiudendo di fatto la stagione della Seconda Repubblica. Sono tante le riflessioni che si possono e si devono fare sulle ragioni di questo voto. Riflessioni anche di carattere extra politico perché le tradizionali categorie d’analisi adottate dai politogi rischiano di essere inadeguate per leggere la realtà. Faccio un esempio. L’affermazione nel collegio di Pesaro del deputato 5 stelle Andrea Cecconi, già scomunicato dal movimento per lo scandalo ‘rimborsopoli’, che ha sconfitto il ministro dell’Interno Marco Minniti del PD non può essere letta in chiave squisitamente politica, ma occorre scomodare sociologia e marketing. Per l’elettore grillino il brand 5 stelle vale molto di più della persona candidata in un determinato collegio. Ed è a ben vedere un paradosso (uno dei tanti verrebbe da dire) per un movimento che vorrebbe moralizzare la politica a colpi di onestà e di trasparenza proponendo candidati della società civile. Nel progetto politico di Grillo e Casaleggio, che non a caso hanno più volte dichiarato, una volta al governo, di volere cambiare la costituzione introducendo il vincolo di mandato, i candidati sono, per usare un’espressione cara a Lenin, degli utili idioti, dei meri esecutori di ordini che promanano dai vertici di una srl informatica che non risponde a nessuno, in barba al mantra della trasparenza, se non al suo amministratore delegato Davide Casaleggio e al suo cerchio magico.

Ma torniamo al voto del 4 marzo. Lunedì, mentre giungevano i primi dati definitivi, un giornalista di un noto quotidiano italiano sottolineava in televisione come oggi i cicli politici siano molto più brevi rispetto al passato a causa dell’accelerazione impressa a certi trend di cambiamento dai social network. Una tesi questa sicuramente interessante e per certi versi corretta a patto che la si allarghi prendendo in considerazione, oltre al ruolo accelerativo, quello distorsivo giocato dai social. Il proliferare di fake news, impropriamente definite bufale, ha infatti orientato l’opinione pubblica su argomenti elettoralmente sensibili (immigrazione, corruzione, politica estera). Sebbene questa non sia la sede per occuparsi del ruolo nell’information warfare teorizzata dal generale russo Gerasimov è tuttavia importante osservare come l’exploit elettorale di Lega e M5S, le cui agende politiche, a parte la questione del reddito di cittadinanza, sono pressoché identiche (uscita dall’euro, dalla UE, dalla NATO, eliminazioni delle sanzioni alla Russia) sia stato favorito dal proliferare di notizie false che girano in rete già da quattro-cinque anni.

Commetterebbe un grave errore di sottovalutazione chi prendesse in esame solo il brevissimo arco temporale, poco più di un mese, della recente campagna elettorale. Il terreno, ampiamente coltivato nell’ultimo lustro, non aveva bisogno di ulteriore concime, in quanto stava già producendo buoni frutti. Si pensi al caso del referendum costituzionale del dicembre 2016 quando troll, bot e associazioni culturali legate alla Russia si espressero a favore del NO al solo scopo di creare instabilità in Italia. Il clamore del Russia Gate imponeva inoltre un ruolo decisamente più discreto da parte delle autorità russe e della loro oliatissima macchina di dezinformatsiya italiana. A ben vedere, ad eccezione dell’attacco informatico subito dalla pagina Facebook di Più Europa con Emma Bonino, oggetto di uno shitstorm la notte tra venerdì 2 e sabato 3 marzo, quando non era possibile segnalare questa violazione per via del silenzio pre-elettorale, ma solo rivolgersi alla Polizia Postale per denunciare il grave accaduto, episodi eclatanti di uso di fake news e attacchi cibernetici non si sono verificati.

Veniamo all’exploit dei partiti sovranisti in Italia. Il successo di M5S e Lega, formazioni che da diversi anni hanno intrapreso un rapporto di stretta collaborazione con la Russia di Putin attraverso la partecipazione ai congressi di Russia Unita, la creazione di associazioni come Piemonte-Russia, Lombardia-Russia e altre iniziative “culturali”, nasce da un’abile web strategy che si è avvalsa di contenuti elaborati da testate quali Russia Today e Sputnik diffusi in rete non solo da Sputnik Italia ma anche da siti e media italiani come l’Antidiplomatico, Imola Oggi, il Talebano, Gli occhi della Guerra, Il Primato Nazionale, Pandora TV (solo per citare alcuni nomi) e vari blog a essi collegati. È solo una coincidenza il fatto che Pino Cabras fondatore assieme a Giulietto Chiesa di Pandora TV, sia stato eletto il 4 marzo alla Camera dei deputati proprio con il M5S?

In estrema sintesi potremmo dire che i legami di M5S e Lega con Mosca sono analoghi a quelli intrattenuti dal Cremlino con il Front National di Marine Le Pen in Francia, con i partiti di estrema destra FPÖ e AfD rispettivamente in Austria e in Germania, con il partito nazionalista olandese di Geert Wilders, con il movimento di sinistra Podemos in Spagna e con i movimenti indipendentisti catalani (chi ha seguito la vicenda del referendum in Catalogna del settembre 2017 e non è a digiuno di politica ucraina avrà notato in mezzo ai manifestanti spagnoli le bandiere delle sedicenti repubbliche popolari filorusse di Donetsk e Luhansk). L’eccezionalità tutta italiana è che in Francia, Germania e Spagna i partiti sovranisti e populisti legati al Cremlino, che ha fornito loro finanziamenti (Marine Le Pen non è ne ha mai fatto mistero) ma soprattutto supporto logistico e informatico, sono stati sconfitti, mentre nel nostro Paese hanno trionfato.

L’Italia come hanno fatto notare anche diversi giornali internazionali all’indomani dei risultati usciti dalle urne è l’unico stato dell’Unione Europea in cui le forze politiche legate a Mosca sono in grado di dar vita da sole a un governo con un’ampia maggioranza. Mentre a Mosca sono fiduciosi che il nuovo esecutivo italiano abolirà le sanzioni economiche, a Bruxelles contano sulla saggezza e sull’equilibrio di Sergio Mattarella. I rischi che l’Italia possa diventare l’anello debole della UE sono reali.

Usando la tassonomia proposta da Edward Lucas nel saggio La Nuova Guerra Fredda, uscito dieci anni fa quando Mosca si limitava ad attaccare l’Occidente quasi esclusivamente con l’arma del gas, (in realtà i primi cyber attack russi ai sistemi informatici del governo estone risalgono al 2007), l’Italia, con un ipotetico, ma nient’affatto improbabile esecutivo Salvini – Di Maio potrebbe diventare a tutti gli effetti il “cavallo di Troia” di Mosca in Europa. Le conseguenze a livello economico e geopolitico di un’Italia allineata con Mosca, con buona pace di tanti ignari elettori italiani, sarebbero assai pericolosi per la tenuta della UE. Ben più di quelli prodotti da Grecia e Cipro, storici trojan horses russi, ma Paesi marginali dal punto di vista politico-economico.

Il rebus che il presidente Sergio Mattarella dovrà risolvere nei prossimi giorni quando affiderà i primi incarichi esplorativi per la formazione di un nuovo esecutivo – né il centrodestra né il M5S hanno seggi sufficienti per governare da soli – si complica ulteriormente per via di un nuovo fattore, il fattore Putin.