Di Maio

Il successo del Movimento 5 stelle pone un bel problema alle forze politiche tradizionali, o a quel che ne rimane, e a tutto l'establishment che forma la classe dirigente italiana, che forse è utile evidenziare. Sostenere un esecutivo grillino significa appoggiare un'organizzazione settaria portatrice di un'ideologia eversiva e totalitaria, incompatibile con le istituzioni della democrazia rappresentativa, con lo stato di diritto e con i valori della libertà e della responsabilità personale.

Il Movimento 5 Stelle non si presenta infatti come una forza politica che propone ricette concrete e politiche pubbliche, in base alle quali contendere ad altri partiti i voti degli elettori, e quindi la gestione del potere. Si pone invece come una setta portatrice di un messaggio salvifico astratto di purificazione della società dal male, dai vizi, dalle illegalità.

L'obiettivo di purificazione sociale è il tratto distintivo di tutte le ideologie totalitarie: a cambiare sono solo le narrazioni - i nazisti volevano creare una società fondata sulla purezza razziale, il comunismo voleva la "società senza classi" perfetta, l'islamismo vuole istituire la società islamica regolata nei minimi comportamenti dalla Sharia, il grillismo vuole realizzare la società integerrima degli onesti - ma in tutte queste esperienze ideologiche le proposte effettive tendono a essere irrilevanti, rispetto all'obiettivo salvifico collettivo. Nella logica settaria, inoltre, non vi può essere spazio per il pluralismo democratico: altri partiti, altre proposte, diventano necessariamente i "fattori inquinanti" che il progetto purificatore deve contrastare e possibilmente eliminare del tutto.

Sul piano organizzativo, queste "sette ideologiche" sono obbligate a sopprimere qualsiasi dibattito e democrazia interna, e a strutturarsi secondo gerarchie e discipline rigidissime, in cui i capi della setta - nel caso del M5S sorprendentemente un imprenditore milanese, Davide Casaleggio, e la sua società di comunicazione - stabiliscono obiettivi e direttive, a cui tutti gli aderenti sono tenuti tassativamente ad attenersi. La legittimazione di dissensi e critiche interne, l'accettazione di un dibattito trasparente e l'adozione di un metodo "a maggioranza" nel formulare gli obiettivi politici dell'organizzazione significherebbero, infatti, rinunciare alla vocazione salvifica di purificazione sociale collettiva di tutta l'esperienza, e riconoscere che gli obiettivi politici sono il prodotto delle idee di alcuni individui, che sono riusciti a farle prevalere su quelle di altri. Per questa ragione, nel Movimento 5 stelle, non è possibile una "democrazia interna", e i dissidenti non possono che subire il destino dell'espulsione, dopo il rito farlocco del voto sulla piattaforma web della Casaleggio Associati.

Il vantaggio delle ideologie settarie, tuttavia, è che sono impermeabili al fallimento, e, se il disagio economico e lo smarrimento psicologico degli individui raggiungono livelli tali da creare un terreno fertile, il loro messaggio salvifico attecchisce in modo virulento. Gli esponenti del Movimento 5 Stelle - così come tutti gli altri capi di altre esperienze totalitarie - possono essere protagonisti di qualsiasi scandalo, dimostrarsi del tutto incapaci di governare, trascinare le comunità nel tracollo economico e fomentare odio e violenza sociale, eppure potranno sempre negare le proprie responsabilità, attribuendole a ipotetici nemici del progetto salvifico ed evocando oscuri complotti di poteri forti contro i "cittadini".

Dopo la vittoria del 4 marzo si fanno sempre più forti, nel mondo tramortito dell'establishment tradizionale - dai vecchi notabili del Partito Democratico a quelli dei "corpi intermedi" come Confindustria, agli esponenti del giornalismo, delle accademie e dei think tank di palazzo - le voci che addirittura spingono per appoggiare un esecutivo 5 stelle, che cercano di esorcizzarne la vocazione totalitaria descrivendolo con toni concilianti come un partito di giovani ingenui e con qualche bizzarria populista. Forse è il tentativo di una classe dirigente storicamente garante dello status quo di un Paese paralizzato e tenuto ostaggio da un debito schiacciante, da inefficienze patologiche, e da una miriade di sistemi di potere clientelari pubblici e privati, di comprarsi ancora un po' di tranquillità nei prossimi mesi o anni.

È facile intuire come un Casaleggio titolare di un successo travolgente ma non sufficiente ad ottenere i numeri parlamentari per governare abbia tutto l'interesse ad adescare queste classi, incaricando Luigi Di Maio di lanciare messaggi di apertura al dialogo, ma sembra improbabile che questi gesti rappresentino una mutazione in senso democratico della natura settaria del M5s. È fin troppo facile e scontato, per contro (e forse un po' troppo catastrofista, dopotutto siamo nel 2018, e saldamente imbrigliati nei trattati e nell'economia interconnessa dell'Unione Europea) far paragoni con eventi verificatisi qualche decennio fa, in circostanze molto simili, in Italia, e in Germania.