Sicilia, Ostia. Dal voto tre lezioni, nessuna buona
Istituzioni ed economia
I risultati delle amministrative di Ostia e delle regionali siciliane confermano tre tendenze di voto consolidate e in larga misura nazionali. Nessuna di esse appare promettente, quanto agli esiti, tutte e tre sono molto significative e rappresentative della realtà del sistema politico “post-partitico”, che è residuato alla fine delle illusioni della Seconda Repubblica.
La prima tendenza è quella della marginalizzazione politico-elettorale della sinistra. È un dato non solo italiano, ma europeo, e non dipende dalle divisioni tra riformisti e antagonisti, che anche sommati appaiono minoritari e non competitivi, ma dallo spiazzamento del tradizionale solidarismo di sinistra di fronte a domande di “protezione” di natura diversa. L’egualitarismo novecentesco, fondato sull’uso generoso della spesa pubblica e su una vocazione orgogliosamente internazionalista (e non necessariamente “terzomondista”), mostra la corda rispetto alle nuove forme del conflitto sociale. Che la sinistra ai tempi delle vacche magre, della sostanziale improponibilità delle vecchie ricette keynesiane e di un risorgente e disinibito nazionalismo “etnicista” finisca, per così dire, fuori gioco, sta purtroppo nell’ordine delle cose. Abbiamo passato anni a discutere sulle divisioni del “popolo di sinistra”, ma non abbiamo realizzato che il popolo, in senso proprio, aveva traslocato altrove e, checché ne dicano i populisti, questa non è affatto una bella notizia, anzi ha un sapore vagamente anni ’30.
La seconda tendenza è la trasformazione del voto elettorale in una sorta di rito propiziatorio o di esorcismo psico-politico, in cui a essere giudicata non è la qualità dell’azione o dei progetti di governo, ma la propensione dei candidati a condividere, amplificare e giustificare i malumori – tutti i possibili malumori – dell’elettorato. Da questo punto di vista, il risultato del M5S sia in Sicilia che a Ostia, proprio ai margini di una città ormai abbandonata da un’amministrazione inane, infiltrata e pazzoide, dimostra che la retorica “buongovernista” né racconta né guida le paranoie dell’elettorato incazzato. A Roma non passano i mezzi pubblici, non si raccoglie l’immondizia, è tutto fermo e politicamente putrefatto, eppure il M5S si conferma primo partito a Ostia come in Sicilia.
La terza tendenza è il tramonto delle speranze di “rinnovamento”. Sia il voto di protesta, sia il voto di sistema, in Sicilia come a Ostia, premia proposte o realtà politicamente antidiluviane. I fascisti di Casa Pound, i vecchi manovratori del cosiddetto “centro” siciliano, l’eterno trasformismo elettorale di un popolo pronto a votarsi a qualunque miracoloso salvatore. Se poi si passa ai programmi (parola grossa) i soli candidati competitivi si sono dimostrati quelli che hanno rinnovato vecchie promesse - sanatorie edilizie, mance fiscali… - non certo chi ha provato a proporre qualcosa di diverso. Niente di nuovo dunque e niente di buono.
Fortunatamente il voto siciliano e di Ostia non è del tutto rappresentativo del voto nazionale perché non tutta l’Italia, fortunatamente, è assimilabile a queste estreme e per certi versi eccezionali periferie politiche italiane. Ma il problema è che inizia ad assomigliare loro pericolosamente, anche nella patologica “eccezionalità”.