Interesse nazionale o interesse europeo?
Istituzioni ed economia
L'articolo di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere del 1 agosto pone una questione importante. Secondo il giornalista tutti i più grandi stati europei (Francia, Spagna, Germania) starebbero perseguendo in maniera molto chiara solo il loro interesse nazionale, mentre noi, in Italia, non vogliamo o riusciamo a perseguirlo. Tale incapacità poi sfocia in una permanente esterofilia che si allarga fino all' "adorazione" di leader di altri Paesi europei (Macron, Merkel, etc. etc.) come fossero stati scelti da noi.
La mia prima reazione dopo aver letto l'articolo era quella di rispondere alla solita maniera "federalista" e cioè che no, non è vero che l'interesse collettivo è interesse nazionale, che ci sono problemi e sfide che non si affrontano in modo separato, Paese per Paese, specie a livello europeo e che nel mondo di oggi per avere la massa critica necessaria a negoziare con vecchi e nuovi stati di dimensioni continentali non si può che avere a propria volta dimensioni continentali, etc. Tutte cose note che vengono ripetute da dieci anni almeno, ma che purtroppo non sembrano fare presa - almeno nel modo in cui le diciamo, ma questo è un altro discorso.
A freddo, invece, trovo degli spunti interessanti ed un fondo di verità nell'articolo, che non vanno sottovalutati, ma utilizzati come base di partenza per un ragionamento più ampio. Per farlo, parto proprio dagli esempi recenti citati da Galli della Loggia: l'azione della Francia in Libia e la questione cantieri di Saint Nazaire.
La prima mette in luce un fatto peraltro noto: ci sono Paesi nella UE (la Francia e il Regno Unito sono gli esempi più ovvi) i quali, in virtù di interessi diretti e concreti in molte aree del mondo da almeno un paio di secoli, hanno una propensione ad agire in maniera indipendente, senza troppo curarsi dell'opinione dei loro vicini europei. Ma, a volte, si rendono ridicoli agli occhi del mondo, come nel 2011, quando l'azione franco-inglese in Libia ha rivelato che, senza il supporto americano, qualsiasi tipo di azione offensiva di larga scala, seppur contro un Paese di medie dimensioni come la Libia, non ha speranza di avere successo.
Perlomeno la recente iniziativa di Macron, sebbene "unilaterale", ha solo carattere diplomatico e forse rimetterà in moto un processo che potrebbe portare ad un governo più stabile. È stata un'azione contro l'Italia? Forse. Senz'altro l'Italia aveva provato per anni a raggiungere questi risultati, con esiti non molto positivi. E chi dice, poi, che l'Italia non stia difendendo il proprio interesse nazionale? Le misure recenti adottate dal governo per mettere un po’ di ordine nei flussi migratori dall'Africa con gli accordi con la Libia e il Niger non tutelano l'interesse nazionale? (Magari poi interferiscono con quello spagnolo, però, visto che pare che i flussi si stiano spostando verso quella direzione).
Certo, sarebbe meglio se l'Europa nel complesso si occupasse di gestire la crisi libica, come pure altre. Per farlo, dovrebbe adottare una politica estera unica. Per giungere a questo obiettivo però ci sono due nodi da sciogliere:
1. Bisogna avere un esercito unico europeo ed essere anche d'accordo su come utilizzarlo. Non un comando coordinato di forze nazionali che decidono a seconda della convenienza se partecipare o meno ad un'azione militare, questa sarebbe solo fuffa, ma un esercito europeo comunitario, come ci ricordava Olivier Dupuis su Strade qualche giorno fa. Ma a che serve un esercito? A difendersi, certo, siamo tutti d'accordo, ma a volte questo passa anche per azioni militari fuori dal proprio Paese. Eppure, le costituzioni di alcuni stati membri impediscono l'uso delle truppe se non per fini unicamente difensivi. I tedeschi saranno pronti a vedere soldati europei di origine tedesca impegnati in azioni offensive fuori dal Paese (gli italiani di fatto già lo fanno, ma non si dice)? Se non ci poniamo queste domande dando risposte si resterà sempre nel vago.
2. Serve il riconoscimento da parte di una maggioranza degli stati membri (e quindi dei loro cittadini, visto che si tratta di democrazie) del fatto che l'interesse collettivo europeo è anche interesse nazionale e i due sono indistinguibili. Per far questo, è necessario però che l'UE venga vista come un'entità in grado di risolvere almeno una parte dei problemi percepiti dai cittadini. Invece di perdere tempo su questioni quali "la crescita", che allo stato attuale richiede politiche diverse a seconda del Paese, l'Italia dovrebbe spingere per quelle su cui lavorare insieme può fare la differenza: sicurezza, gestione dei confini, tutela delle industrie strategiche, per esempio.
E veniamo brevemente alla questione dei cantieri navali. Su questa, trovo meno argomenti a difesa della posizione francese, ma faccio notare che anche l'Italia si è dotata di una legislazione che protegge, attraverso l'esercizio dei "golden powers" da parte del governo, vari settori "strategici", che vanno dall'energia alle telecomunicazioni alle infrastrutture. Anzi, inizialmente la legislazione italiana in materia fu bocciata dalla UE, costringendo il Paese ad adottare regole diverse. Noto poi che simili misure esistono anche in Spagna e Germania, per esempio, e si applicano non solo a capitali di provenienza extra UE ma anche a quelli di provenienza UE.
Che poi la Francia sia quella che negli ultimi anni - forse anche più del Regno Unito - ha attivato maggiormente questi meccanismi di difesa da acquisizioni straniere, è fuori dubbio. Ma le regole UE consentono interventi difensivi anche quando i capitali arrivano da altri Paesi europei, sebbene solo in caso di motivi di "ordine pubblico" o per motivi legati alla protezione dell'ambiente, pianificazione territoriale e protezione dei consumatori. E quasi tutti i Paesi europei hanno in essere meccanismi di protezione della propria industria della difesa che sono perfettamente in regola con i trattati UE. Nonostante gli interventi della Corte di Giustizia UE abbiano limitato fortemente la possibilità di un'interpretazione troppo ampia di tali eccezioni, da avvocato non posso che osservare che, quando all'interno di un principio generale si creano eccezioni molto generiche, si può andare incontro ad abusi - specie quando non esistono penali realmente "dolorose" per la violazione delle regole stesse.
Magari eliminare queste eccezioni per i movimenti di capitali intra UE e tenere le regole, invece, se i capitali arrivano da fuori UE, seguendo la linea maestra della sussistenza di reciprocità col Paese di provenienza, sarebbe una battaglia che potrebbe unire la UE. Cenni di Macron in campagna elettorale al "buy European" e cenni fatti dalla Merkel alla creazione di un organismo simile allo CFIUS americano anche a livello europeo sembrano indicare che la strada futura potrebbe essere proprio questa. Seguire il carro franco-tedesco su questa strada non sarebbe sbagliato e sarebbe anche nell'interesse nazionale.
E veniamo infine alla tesi centrale di Galli della Loggia, ripresa poi quasi all'unisono da Gigi Riva sull'Espresso del 6 agosto: l'Italia è sola. Certo, i rapporti con gli USA sono cambiati già dall'amministrazione Obama (più attenta al Pacifico), ma l'Unione Europea di oggi, e in particolare i Paesi che appartengono anche all'area Schengen ed all'Euro, è come un condominio. Un condominio inevitabile, come la storia anche recente ha dimostrato.
Quindi? Quindi non siamo soli, ci sono gli altri inquilini. Ma nei condomini, di solito, si decide una direzione da prendere a maggioranza semplice o qualificata, raramente all'unanimità. Un Paese, quindi, può sentirsi "solo" nel momento in cui si trova sempre in disaccordo con le decisioni della maggioranza. Ma ha anche una scelta diversa: quella di battersi, di cercare di influenzare l'opinione degli altri. E non è interesse nazionale questo? Se non c'è una politica estera comune, per esempio, almeno cerchiamo di indirizzare le 27 politiche estere europee verso un obiettivo comune. A volte ce la faremo, altre no, ma fa parte del gioco.
L'alternativa come Paese (trasferirsi altrove) purtroppo non esiste, se non altro perché la storia e la geografia non si negoziano.