Mantenere il proprio rango. Il concetto ha un che di antiquato, un profumo di "ancien régime". Tuttavia, è questo che, nella testa della classe dirigente francese, presiede ancora oggi alla definizione del ruolo e della posizione della Francia nel mondo. Ma di quale rango si parla? Quello passato, della Francia-grande potenza, con un ritorno alle alleanze di retroguardia come alcuni sembrano preconizzare? Sarebbe un suicidio, poiché comporterebbe la distruzione di tutto l'edificio europeo, pazientemente costruito sin dagli anni '50 del secolo scorso.

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Per definire il rango della Francia oggi serve quindi, secondo noi, una rottura concettuale. Si tratta di "pensare" il passaggio dall'idea di un'Europa strumentale ai disegni della Francia a quella di una Francia inscritta nel cuore dell'Europa.

Lo stravolgimento dell'ordine europeo sotto i colpi d'ariete del regime russo, il ritorno in Europa delle guerre di conquista e dell'annessione di territori con la forza, il disegno manifesto da parte di una potenza straniera di far implodere l'Unione Europea, lo spostamento del baricentro della politica estera degli Stati Uniti verso l'Asia, l'indebolimento della Nato: tutti questi fenomeni rendono particolarmente visibile la necessità di elevarsi ad un livello finora mai visto di partecipazione, di impegno e di responsabilità nell'impresa europea.

Questo vale evidentemente per tutti i Paesi Membri dell'Unione – e per tutti i cittadini europei – ma vale ancora di più per la Francia, proprio in ragione della capacità, che essa ha saputo mantenere, di "comprendere la grande strategia e l'esercizio del potere in tutte le sue dimensioni"(1).  Se il Paese che, più di ogni altro sul continente europeo, si è voluto dare i mezzi di una autonomia strategica(2) non è più oggi in grado di mantenere il suo rango, non è per ragioni congiunturali - la crisi economica - ma per ragioni ben più profonde, strutturali, ovvero semplicemente aritmetiche. Come già testimonia lo stallo tecnologico in settori vitali come, per esempio, gli aerei da caccia, le forze aeronavali, i droni, la cyber-guerra... Un Paese di 65 milioni di abitanti non può rimanere in corsa da solo, quali che siano la sua volontà ed il suo genio.

Come nel maggio 1950, quando Robert Schumann e Jean Monnet cambiarono, nello spazio di un giorno, il destino dell'Europa e allo stesso tempo riuscirono a reinserire una Francia ancora prigioniera della sconfitta del 1940 al centro della storia del continente(3), siamo convinti che un'iniziativa risoluta e circoscritta di Parigi – ieri il carbone e l'acciaio, oggi un esercito comune e una decisa politica a favore di un ancoraggio solido dell'Ucraina all'Unione - sarebbe un passo decisivo per ridare fiato al progetto europeo e insieme per superare la grande crisi di identità che la Francia sta attraversando.

 

Premessa: un new deal fra la Gran Bretagna e il "continente"

Non affrontare la questione britannica (o, più precisamente, la questione dell'esistenza di due progetti diversi secondo la formula di Jean-Louis Bourlanges, quello di "una Europa forte, organizzata e solidale" da una parte e di un'Europa "di circolazione e di scambio"(4) dall'altra) rafforza i sentimenti antieuropei in Gran Bretagna, asseconda una logica di disintegrazione e di disaffezione da parte dei cittadini rispetto al progetto europeo e contribuirà, nel medio termine, all'indebolimento se non allo smantellamento dell'Unione europea.

Continuare a ripetere, come un mantra, che nessuna revisione dei Trattati sia possibile significa chiudere David Cameron nella trappola che gli hanno teso i fautori del ritorno al passato glorioso del Paese di Sua Graziosa Maestà; ma significa anche perpetuare, in seno all'Unione, il gioco comodo delle alleanze di circostanza a scapito delle scelte politiche. D'altra parte, pregare i Britannici, come fece Michel Rocard, di lasciare l'Unione Europea significa trovarsi un capro espiatorio a buon mercato al quale imputare tutte le incapacità degli altri Stati membri; significa privarsi, a breve e a medio termine, del valore aggiunto britannico.

 

Preservare l'avvenire

La Francia potrebbe affrontare di petto la questione e proporre agli altri Stati Membri dell'Unione di costruire un deal, un deal vero e serio, con la Gran Bretagna: la divisione del trattato dell'Unione in due parti. La prima riprenderebbe tutti i dispositivi relativi al grande mercato. Sarebbe l'Europa delle quattro libertà di circolazione - compresa, certo, benché a certi britannici dispiaccia, quella delle persone. Il Regno Unito (come pure, eventualmente, altri stati desiderosi di limitare la loro partecipazione al progetto europeo) potrebbe ritirarsi da tutte le politiche comuni (agricoltura, aiuti strutturali, affari esteri, giustizia...), pur mantenendo il diritto di partecipare – senza però diritto di voto - a tutti i dibattiti sulle politiche portate avanti nell'UE dagli stati desiderosi di approfondire la costruzione europea.

Come contropartita, tuttavia, il Regno Unito accetterebbe di ratificare una modifica dei Trattati che preveda l'estensione del voto alla maggioranza qualificata, la trasformazione del Consiglio in un vero Senato europeo, la soppressione delle presidenze di turno, l'elezione del presidente della Commissione a suffragio universale, nonché di rimanere parte della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo.

 

Un esercito europeo comune

Di fronte agli sconvolgimenti strategici in corso, la questione della difesa dell'Europa da parte dell'Europa acquisisce un'importanza finora inedita. Tuttavia, rari, molto rari, sono coloro che richiedono un'iniziativa risoluta dell'Europa in questo campo. Tutt'al più, si sentono, di qua e di là, appelli a rafforzare i contributi degli stati membri alla Nato. L'Organizzazione atlantica rimane, sembra, un orizzonte insuperabile, l'unico e ultimo riferimento.

Se però, come altri, crediamo che la presenza di due o tre divisioni alle frontiere orientali dell'Unione avrebbe molto probabilmente potuto scongiurare lo scenario catastrofico al quale assistiamo oggi, l'incapacità della Nato a mobilitare politicamente e militarmente dei mezzi di dissuasione sufficienti per impedire l'invasione della Crimea e di una parte del Donbass deve necessariamente porci degli interrogativi.

Un'Europa ristretta deve "passare il Rubicone" di una politica autonoma di difesa e impegnarsi a costituire non già un esercito unico, ma un esercito comune sufficientemente forte da poter divenire progressivamente un vero e proprio centro di gravità della politica europea di difesa e di sicurezza. Essendo il Paese che dispone del migliore apparato militare e, soprattutto, della pratica politica dell'impegno, la Francia sarebbe, in quest'ipotetica Unione ristretta, il Paese che potrebbe meglio prendere la leadership di una tale iniziativa.

Le condizioni politiche per il successo di un'iniziativa del genere sono note: si tratta "semplicemente" di passare dal registro intergovernativo al registro comunitario, di avere l'audacia di affidare al triangolo istituzionale classico - la Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio (e quindi gli Stati membri) - la responsabilità di questo esercito comune, con, per dargli una legittimità forte, un dispositivo transitorio che preveda l'approvazione di tutte le decisioni d'intervento da parte di un Alto Consiglio di Sicurezza(5) composto dai capi di stato e di governo dei Paesi partecipanti alla Cooperazione Strutturata Permanente in materia di difesa.

Dal punto di vista dell'industria degli armamenti, la diagnosi è tanto nota quanto senza possibilità d'appello. In mancanza della nascita di grandi attori trans-europei, l'Europa è condannata a nuovi fiaschi economici e commerciali come quello dei due aerei da caccia concorrenti di quarta generazione (Eurofighter e Rafale) degli anni 70/80 dovuto, non come una certa vulgata tende a far credere, a disaccordi tra militari, ma, ben più fondamentalmente, all'opposizione di lobby industriali-militari preoccupate di mantenere le proprie rendite di posizione. Risultato: oltre ai costi aggiuntivi, i Paesi europei (e le loro imprese specializzate) sono tutti assenti cronici all'appuntamento con l'aereo di quinta generazione e non lavorano su nessun progetto di sesta generazione. La conclusione che si può trarre da questi fatti è che certe imprese hanno posto ostacoli sostanziali alla costruzione di una politica di difesa europea e rappresentano, di conseguenza, minacce reali alla sicurezza europea.

Serve un approccio nuovo, teso a creare delle imprese trans-europee tenendo conto sia degli investimenti realizzati nel corso degli ultimi settant'anni da alcuni stati membri, sia della volontà di altri stati membri di impegnarsi di più in futuro. Nel campo dell'aeronautica militare, la Francia detiene la chiave di una possibile iniziativa. In effetti il governo francese avrebbe i mezzi politici e giuridici per creare, a partire dalle attività militari del gruppo Dassault di cui Airbus – e quindi Germania, Francia e Spagna - detiene già il 45% delle azioni, un grande gruppo europeo, nuova filiale di Airbus, il cui capitale sarebbe aperto agli altri Stati europei (o a imprese di questi Stati(6) ) che desiderino entrarvi (Polonia, Italia, Ucraina fra gli altri).

Nel settore della costruzione navale militare, la creazione di un esercito europeo comune che comprenda fra l'altro tre o quattro gruppi aeronavali(7), potrebbe mettere un termine all'inerzia attuale in termini d'integrazione. La partecipazione agli appalti dell'esercito europeo comune potrebbe essere aperta solo alle imprese sostanzialmente plurinazionali, al fine di incoraggiare i grandi cantieri navali europei(8) a raggruppare le loro attività militari in due o tre filiali comuni(9) e concorrenti. Se ciò non avvenisse, l'Europa confermerebbe il suo lento declino strategico(10) in questo campo e rischierebbe, a medio termine, di vedere scomparire le competenze che qualche raro stato membro possiede ancora.

 

Priorità Ucraina

Più che le sanzioni, certamente necessarie almeno in quanto dimostrano una certa unità dell'Europa e, più in generale, dell'Occidente, ciò che più teme oggi il regime russo è un rovesciamento della propria opinione pubblica in seguito a perdite umane massicce nel corso di una nuova offensiva in Ucraina. Sono quindi gli Ucraini da soli, in assenza di mezzi militari europei e atlantici in grado di assicurare una dissuasione effettiva, ad essere in prima linea davanti a un regime che ha deciso di ignorare le regole internazionali tese a rendere possibile la coesistenza tra gli stati. Lasciarli soli di fronte a un regime aggressore che non esita a dispiegare mezzi militari considerevoli in armamenti e in uomini e che, dal punto di vista politico, ricorre a diversi metodi ben conosciuti (destabilizzazione, infiltrazione, ricatto, disinformazione...) sarebbe semplicemente suicida per l'Europa.

Oltre alla fornitura degli armamenti difensivi (e dissuasivi) necessari, l'Unione Europea deve mandare un segnale politico forte invertendo la logica attuale che fa dell'adesione dell'Ucraina una prospettiva lontana, il compimento di un lungo cammino. L'aggressione subìta dall'Ucraina è un'eccezione; la risposta dell'Europa deve essere dunque eccezionale.

A differenza di tutti gli altri Paesi candidati alla candidatura, e senza che ciò implichi una qualsiasi edulcorazione dei criteri da rispettare, il processo di adesione dell'Ucraina all'UE deve essere aperto immediatamente per accompagnare l'insieme del processo di riforme e di modernizzazione del Paese, per creare il clima di fiducia necessario a garantire investimenti sostanziosi da parte delle imprese europee.

Di fronte al "terremoto geopolitico" che sta investendo l'Europa, l'idea per cui la Francia dovrebbe prima mettere ordine nei suoi conti è sterile. L'Europa ha oggi un crudele bisogno della Francia e della sua capacità d'influenza internazionale, per elevarsi all'altezza delle sfide che ha davanti. Da parte sua, la Francia non potrà superare la sua "crisi d'identità", la sua subalternità incosciente ai cantori di una realtà che non esiste più, se non riprendendo la leadership europea, per creare non già una Europa-Potenza ma una Europa-Decenza, una Europa in grado di mantenere la propria parola, di far seguire adeguatamente i fatti alle proprie dichiarazioni d'intenti.


Note al testo:

1 "The Case for Berlin: Bringing Germany Back to the West", Jeffrey Gedmin, World Affairs, novembre/dicembre 2014. Nostra traduzione.
2 Ancorché relativa, in ragione dell'appartenenza mai smentita della Francia alla Nato.
3 Jean-Louis Bourlanges, "Identité européenne et ambition française", Commentaire, numero 147/Autunno 2014
4 Jean-Louis Bourlanges, op. cit.
5 Secondo la formula del diplomatico Pierre de Boissieu.
6 Fra gli altri, Alenia-Aermacchi (Italia), Antonov (Ucraina), Saab (Svezia).
7 Integrando i due Mistral che non potranno essere consegnati alla Russia.
8 DCNS (Francia), Fincantieri (Italia), TKMS (Germania), Navantia (Spagna), Donbass ISD Polska (Polonia, Ucraina), Damen (Paesi-Bassi), Odense (Danimarca) ...
9 Riunendo imprese di almeno tre o quattro Paesi diversi.
10 Resta inteso che un solo gruppo aeronavale ha un valore strategico vicino a zero, in particolare se questo viene articolato attorno ad una portaerei a propulsione nucleare, bisognosa di manutenzione per quasi sei mesi all'anno.