L'estremismo umanitario e il liberalismo delle regole
Istituzioni ed economia
È notizia delle ultime ore: molte Ong hanno chiesto un incontro al Viminale per discutere seriamente la sottoscrizione del famoso codice di comportamento che prevede, tra l’altro, il divieto di entrata in acque libiche, il divieto di trasbordo dei migranti presso altre imbarcazioni e la presenza a bordo – su richiesta delle autorità - della polizia giudiziaria italiana.
Evidentemente pragmatismo e concretezza prevalgono quando le regole sono di buon senso e chiare e vengono difese con l’autorità che si addice ad uno Stato sovrano che si relaziona con organismi privati legittimi, necessari, lodevoli negli scopi e nelle azioni ma, in ogni caso, operativi nei nostri mari, sul nostro territorio, e che intrecciano e modificano – con il loro agire - il destino delle popolazioni accoglienti e quello dei disperati oggetto di mercato e tratta. E credo che proprio in tal senso – nel senso dell’opposizione radicale ai nuovi mercanti di uomini - vada inteso il recente intervento del nuovo Presidente della Cei, mons. Gualtiero Bassetti.
Al di là delle dotte disquisizioni giuridiche tra internazionalisti, esperti di diritto della navigazione, di diritto umanitario e penalisti, lo scontro in atto tra i fautori di una immigrazione controllata e gli artefici di una terzietà ideologica che, come tale, disconosce confini e respinge intromissioni alla propria attività di “salvataggio” in mare è lo scontro politico tra l’anarchismo romantico di un estremismo che tende ad avere a che fare con “gente” spogliata di ogni diritto civile, contrattuale e lavoristico e trattata come materiale spersonalizzato da tutelare attraverso il riconoscimento dei soli "diritti umani" e quello che possiamo bene definire un liberalismo delle regole che, finalmente, ha deciso di non deporre leggi e legittimità come rottami metafisici travolti dalla realtà tragica degli sbarchi continui interpretati come destino ed espiazione di colpe ataviche ma che vuole contemperare, nel buon senso, più esigenze che non possono disgiungersi: il soccorso della gente in mare in pericolo, il riconoscimento dell’asilo politico per rifugiati e perseguitati, l’accoglienza dignitosa in Italia per chi ha diritto.
Ma cosa significa “accoglienza dignitosa”? Perché non si può giudicare delle ultime decisioni del Governo sul codice di comportamento per le Ong senza capire cosa sta succedendo nei nostri territori dopo gli innumerevoli sbarchi degli ultimi anni?
Se l’Italia, infatti, merita ed ha avuto l’apprezzamento internazionale per le operazioni messe in campo, da Mare Nostrum a Triton, non si può non sottolineare il sostanziale fallimento di un sistema di accoglienza che non produce integrazione ed inclusione ma solo ghettizzazione e stazionamento involontario di tanti migranti economici che, di certo, non desiderano l’Italia come loro meta di approdo ma che vi sono costretti dalla chiusura delle frontiere da parte dei Paesi del Nord Europa.
Che senso ha, infatti, l’accoglienza sine die di migliaia di giovani africani alla ricerca di un futuro migliore senza alcuna politica seria di inclusione nel tessuto sociale del nostro Paese? Come si può parlare di comprensione reciproca e di reciproco aiuto senza percorsi di insegnamento della lingua e della cultura del territorio d’accoglienza? Che scopo ha – ed ecco che ritorna il romanticismo politico – intendere eccezionalisticamente i migranti come esperimenti umanitari, privi di forme, documenti, diritti e doveri comuni, suscettibili solo di una tutela senza sbocchi e prospettive, buona solo per soddisfare – sempre a distanza comunque – un certo pregiudizio occidentale che, sempre più raffinato, non è semplicisticamente escludente bensì, appunto, umanitaristicamente ospitale - ma mai davvero inclusivo e paritario?
E allora ben vengano le regole, ben venga la distinzione tra le Ong che davvero intendono salvare vite umane in pericolo e quelle che ideologicamente si considerano “terze” in un conflitto raccontato come epocale tra le sponde del Mediterraneo e che hanno deciso di creare un vero e proprio corridoio umanitario illegale, un percorso taxi ben oliato che ha l’unico scopo di traghettare - quasi a titolo risarcitorio - masse indistinte dal Sud al Nord del Mondo.
E attenzione: davvero i corridoi umanitari legali sono necessari, davvero debbono sempre più accompagnarsi ad una rinnovata e potenziata cooperazione internazionale che aiuti le economie dei paesi del terzo e del quarto mondo, davvero l’Europa dovrebbe ripensare in senso più liberale e concorrenziale le proprie politiche agricole ed aprire il proprio mercato – iperprotetto ed escludente – ai prodotti esteri, davvero la retorica razzista dei tanti demagoghi in campo dovrebbe cedere il passo alla comprensione del fatto che le battaglie idiote contro l’olio tunisino o le arance marocchine non fanno altro che acuire la disperazione di economie in crisi che necessitano, invece, di essere coinvolte nei processi di consumo delle economie più ricche.
Posto ciò, la risposta civile e giuridicamente più sensata alla crisi migratoria in atto non può comunque essere la resa all’ideologismo irresponsabile di chi interpreta il “non governativo” come anarchismo rivoluzionario, di chi disconosce volontariamente la differenza tra terra e mare, tra confini, limiti e diritti, di chi bolla come borghesi e classisti i diritti contrattuali e sociali, le forme comuni che “tutelano” la presenza produttiva e riconosciuta come legittima degli stranieri “occupati” nel nostro paese e che hanno conquistato con il sudore e l’impegno il proprio permesso di soggiorno, la propria carta di lungo periodo, la propria cittadinanza italiana.
Solo ritornando ad una ordinaria dinamica non eccezionalistica ma ordinata del flusso migratorio, solo scardinando le dinamiche malate di un accoglienza presso hotel e residence in crisi in cerca di denaro pubblico e, spesso, attraenti gli appetiti del crimine organizzato, si potrà davvero portare a buon fine il progetto di uno ius soli temperato e di uno ius culturae che apra definitivamente le porte del Paese a nuovi cittadini nella piena titolarità dei propri diritti civili. Gli unici, peraltro, davvero tali.