renzi merkel

Nel 1963 finivo la prima elementare. A Valle Mosso, il paese, con Trivero, con il più grande concentrato di operai e fabbriche d'Europa. Tessili ovviamente. Avendo vinto il primo premio", Banca Sella mi diede un libretto di risparmio di 2000 lire. Allora in prima elementare ti inculcavano la "religione del risparmio". Oggi la religione è il consumo, quindi i Paesi che producono e risparmiano, come la Germania, sono additati come i "cattivi". Cattivo quindi non è chi spende più di quanto produce, ma chi usa il surplus della sua produzione per ridurre il debito.

"Ritornare a Maastricht!" urla Renzi. Che vuol dire "stabilità e crescita". Che vuol dire un massimo di 3% tra deficit e PIL (per noi 48 miliardi annui). Tutto giusto. Però ci si dimentica dell'altra faccia di Maastricht, e cioè che, grazie a riforme strutturali e politiche di sviluppo - la famosa "strategia di Lisbona" con il suo portato di innovazione, ricerca, riforme strutturali, commercio internazionale all'insegna del libero scambio - il debito andrebbe ridotto al 60% del PIL entro il 2035.

La Germania è scesa a giugno 2017 al 68,9% e punta al 60% entro il 2019. Quasi vent'anni di anticipo. Noi siamo al 132,5%. Per scendere al 100% (livello - più o meno - di Spagna, Francia e Gran Bretagna) entro 10 anni abbiamo due alternative: o crescere del 3% senza aumentare di un euro la spesa pubblica o crescere per 10 anni del 2% ma avviando un'operazione di dismissioni del patrimonio dello Stato e delle PA di almeno 150 miliardi.

Il dibattito sul Fiscal Compact è tutto qui. C'è stata un fase in cui il debito di alcuni Paesi dell'Eurozona ha messo a rischio la tenuta dell'euro (così come la Brexit sta indebolendo fortemente la sterlina) e le politiche di stabilità si sono rese indispensabili. Alcuni Paesi hanno aumentato di molto il debito (Spagna, Portogallo, Irlanda) ma hanno avviato una forte crescita. Altri hanno aumentato il debito (Francia, UK) ma hanno un rapporto debito/PIL più vantaggioso del nostro del 30% circa e crescono di poco più di noi. Altri hanno portato il debito a causa della crisi a livelli per loro elevati (81%, la Germania) ma poi l'hanno progressivamente ridotto portando la crescita anche oltre il 2% e vicino al 3. Solo noi abbiamo aumentato il debito e abbiamo registrato la crescita più bassa. E rispetto a chi ha performance peggiori o simili alla nostra (Francia, e anche UK per certi aspetti) non si può dimenticare che loro partivano da posizioni ben migliori della nostra. Un ricco può anche giocare i suoi gioielli di famiglia durante i periodi di vacche magre; uno molto meno ricco, che ha lo stesso debito del ricco ma produce il 30% in meno di ricchezza non può e non deve comportarsi allo stesso modo.

Il Fiscal Compact per certi aspetti è superato perché la fase acuta della crisi finanziaria è passata, e perchè la recessione è finita. Ma credere che si possano risolvere i problemi facendo leva solo sul debito senza una forte revisione dei meccanismi di formazione della spesa pubblica, facendo affidamento solo sulla crescita e sperando in tassi di sviluppo al limite delle possibilità dei Paesi avanzati, è quanto meno azzardato. Il debito, le mezze riforme, le non-riforme, l'illegalità diffusa in molte parti del Paese, sono le priorità da affrontare per ritornare nel club dei grandi. Il surplus della Germania è un problema, ma diventa un alibi se si dimentica tutto il resto.

Il no al Fiscal Compact senza tutto il resto è solo un tentativo di accattivarsi i favori di un'opinione pubblica ormai convinta di essere vittima di un pregiudizio antiitaliano. Dalla "perfida Albione" siamo passati alla "odiosa Valchiria".